UNO
- Il prossimo - disse la voce annoiata di Pam.
Eric, seduto al suo solito posto dietro la scrivania, osservò il vampiro ciccione uscire con aria desolata dalla porta del suo ufficio, mentre la sua adorabile progenie si esaminava le unghie smaltate di fucsia, appollaiata con aria regale sul bordo della scrivania a gambe accavallate. Gambe ricoperte da una sottile rete color carne.
- Sai una cosa? Comincio a scocciarmi – esclamò lei, continuando a dargli le spalle.
- Non mi interessa, Pam. È colpa tua se Mr. Rueben è morto.
- Stai scherzando, vero? È solo colpa di Compton. A lui la fai passare liscia e a me, mi sottoponi a questa noia mortale?
- Che bisogno c’era di ucciderlo? Potevi metterlo ko e incatenarlo nello scantinato. Devo proprio insegnarti tutto?
- Scusami tanto, se in quel momento non sono riuscita a pensare con lucidità. Sai com’è, avevo un Maker che stava per diventare tutt’uno con le fondamenta di un centro commerciale.
Eric sospirò e riprese a guardare lo schermo del pc davanti a sé, mentre la porta dell’ufficio si aprì di nuovo.
Stavolta, l’aspirante killer di turno era una vampiretta alta un metro e cinquanta a voler esser generosi, che cercava di mascherare la sua bassa statura con degli orrendi stivali neri pieni di borchie e fibbie e dotati di un paio di zeppe colossali. Sembrava avesse due ferri da stiro al posto dei piedi. Ferri da stiro di quelli che si usavano nell’ottocento, con lo scomparto in cui mettere i carboni ardenti.
Il resto della microscopica succhiasangue era altrettanto ridicolo. Abbigliata con qualcosa che assomigliava in maniera preoccupante a un sacco della spazzatura troppo aderente, aveva gran parte del piccolo seno e delle gambe scoperta, i capelli nerissimi e lisci tagliati a caschetto, e un trucco molto pesante che cercava di rendere gli occhi a mandorla il più rotondi possibile. Guanti di rete nera e una tracolla lunga e stretta che sembrava la fodera di una spada completavano l’insieme, facendola assomigliare, più che a un killer, a un personaggio di quegli assurdi cartoni giapponesi.
Pam si voltò per un attimo lanciandole un’occhiata entusiasta, poi poggiò entrambe le mani sul ginocchio accavallato e iniziò le domande di rito, con un sorriso deliziato stampato sulle labbra rosse.
- Nome?
- Io sono la Lady Nera – pronunciò la marmocchia con aria solenne.
- Scu-sa-mi? – ridacchiò Pam.
Eric scosse la testa e vide che c’era una nuova e-mail nella posta in arrivo. Ci cliccò sopra.
FROM: RVH1705@hotmail.eng
To: bill_is_a_bitch@vampmail.com
Si trattasse di chiunque altro e di qualunque altro incarico, Northman, ti avrei già mandato volentieri a stendere, ma non posso negare che questa faccenda delle fate mi intriga. Quindi, la mia ultima offerta è :
2 Milioni di Euro + Fata personale da asporto.
Gradirei anche essere accolto in modo consono dalla tua assistente, Pam, che potrebbe accompagnarmi in un giro turistico alla scoperta delle bellezze del luogo.
Sicuro di volerti impegnare tanto per recuperare la cameriera?
Attendo una tua risposta e le indicazioni per raggiungere quel buco d'inferno in cui hai deciso di andare a infognarti.
RVH
Tsk, pensò Eric. Raistan, sciocco imbecille arrogante. Ora ti sistemo io.
Si mise a digitare la risposta, incurante dell’interrogatorio divertito cui Pam stava sottoponendo la povera giapponesina.
From: bill_is_a_bitch@vampmail.com
To: RVH1705@hotmail.eng
Per quanto mi riguarda, puoi anche prendere dieci fate da asporto. Sui due milioni di euro, mi spiace, ma non posso accontentarti. Il Fangtasia non fattura tanto, al massimo posso offrirti un giro gratis sulla Giostrina Degli Orrori che ho nello scantinato. È un’esperienza incredibile, te lo garantisco. La cifra che sono disposto a pagarti si aggira attorno ai 100.000 dollari. Suvvia, non vorresti fare un favore a un vecchio amico?
Se t’interessa, inoltre, il posto di barista è vacante. LongShadow è stato impalettato e nessuno ha più notizia di Chow dalla fine della seconda stagione. È un buon lavoro, molte mance, un sacco di fangbanger da prosciugare a piacimento e Tru:Blood gratis. Rischi zero.
Sulle motivazioni che mi hanno indotto a questi sforzi per recuperare la cameriera, come dici tu, ti prego di non indagare oltre, o potrei alterarmi.
PS: Se avessi due tette e una vagina, forse potresti interessare a Pam. Allo stato attuale delle cose non saprei cosa dire.
Cliccò su invio e poi cercò di dimostrare uno straccio d’interesse per la sua nuova aspirante killer.
- Scusami, dolcezza. Come hai detto che ti chiami?
- Lady Nera – ripeté la pulce con aria convinta.
Eric le lanciò uno sguardo gelido.
- Non sopporto gli pseudonimi, ragazzina. Vorrei sapere il tuo vero nome, se non ti dispiace.
- O-Ren Ishii – disse lei abbassando lo sguardo.
Pam si voltò a guardarlo. Eric intercettò il suo sguardo e sospirò nuovamente, incrociando le dita sotto il mento. Sarebbe morto di sbadigli, se fosse stato ancora umano.
- Non sono così decrepito da non aver mai visto Kill Bill, ragazzina. È uno dei miei film preferiti, in realtà. Ha un titolo così… suggestivo. Ora sputa il tuo vero nome, prima che cominci a seccarmi sul serio.
Pam ridacchiò e tornò a guardare la vampiretta.
- Sandy… Sandy Nonohara – disse lei timidamente.
- Che nome grazioso – commentò Pam.
- Ora scusami un attimo, Sandy – disse Eric. – Devo scambiare due paroline con mia figlia. In privato.
Sparita la pulce nera, Eric si voltò a guardare Pam.
- Che ti prende? – disse lei. – Prima m’incastri in questa faccenda delle audizioni, poi fai lo scocciato?
- Questa… Sandy, non va bene per quello che ho in mente. È una novellina. Scommetto che pensa che basti vestirsi di nero per sembrare un’assassina navigata. Tanto varrebbe assumere Jessica, a questo punto.
- Però è graziosa. Potremmo usarla almeno come barista.
- Pam, per favore. L’ultima cosa che voglio è che tu mi costringa ad assumere altri dipendenti solo perché te li vorresti scopare. Guarda un po’ com’è andata a finire con Yvetta.
- Cosa…? – sbottò Pam, sollevando un sopracciglio. - Vorresti insinuare che io ti ho costretto ad assumere Yvetta? Se non ricordo male, eri tu quello con la lingua per terra, quando è entrata nel locale!
- Non dire idiozie.
Messaggio ricevuto, disse la casella di posta.
FROM: RVH1705@hotmail.eng
To: bill_is_a_bitch@vampmail.com
Proprio perché sei tu, proprio perché non ho niente di meglio da fare in questo periodo e proprio perché siamo sotto Natale, farò un salto dalle tue parti per discutere nei dettagli la questione. Nel caso decidessi di accettare, sei pregato di non far conoscere in giro la ridicola cifra per cui mi spaccherò il culo per te, o mi rovini il mercato.
Sarò a Shrevport subito dopo Natale, ammesso che riesca ad arrivarci senza farmi prima mangiare da qualche alligatore di quelle vostre merdose paludi; ti comunicherò il giorno preciso.
PS. Io piaccio a tutti, se decido che così dev'essere, non vedo perché Pam, tette o non tette, dovrebbe fare eccezione. Il look sadomaso che indossa di tanto in tanto incontra particolarmente i miei favori.
PS2. Riguardo al lavoro da barista: quando cadrò così in basso, ti prego d’impalettarmi. Perché non chiedi alla tua scialba cameriera, quando l'avremo recuperata?
A presto, RVH
Eric aggrottò la fronte. L’Olandese era esattamente come lui se lo ricordava: un grosso (beh, non più di lui) sparaballe privo di qualsivoglia senso civico. Aveva un disperato bisogno di qualcuno che gli insegnasse le buone maniere con gli anziani.
Povera Shibeen. Un Figlio così deve essere una tremenda fonte di grattacapi. Devo mandarle un’e-mail, prima o poi, saranno almeno duecento anni che non la vedo. Ora però pensiamo a convincere questo sbruffone.
From: bill_is_a_bitch@vampmail.com
To: RVH1705@hotmail.eng
Shreveport. Così si scrive. Mi rendo conto che il tuo palato sopraffino è abituato alle grandi metropoli, ma credimi, se ti dico che in questo posto si mangia davvero bene. Girerò a Pam i tuoi commenti sul look sadomaso, ma ti avverto: nonostante le apparenze, lei è più una tipa da maglioncini di cachemire. Sì, lo so, non mi somiglia molto.
Ti aspetto entro Natale, allora. Sii buono, deliziami scendendo dal camino.
Pam si allungò a sbirciare lo schermo.
- Ma che stai facendo? Chatti? Mentre cerchiamo il nostro prossimo killer?
Eric alzò lo sguardo, esasperato.
- Non sto chattando. Mi sto mettendo in contatto con un… amico di vecchia data, Pam. Uno che può davvero servire allo scopo. Se riesco a convincerlo, siamo a cavallo.
Pam arricciò il naso.
- A convincerlo? E chi si crede di essere, questo tipo? Nosferatu? Vlad L’Impalatore?
Eric sorrise appena, tornando a guardare lo schermo.
- No, ma ci sei andata vicino. Si fa chiamare Atropo.
- Tsk. Che nome di merda. Non hai detto che detesti gli pseudonimi?
- Infatti. Non sbirciare, impicciona.
La risposta era appena comparsa.
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Io mi calo per il camino se tu ti travesti da Befana.
A proposito, ma che razza di indirizzo è BILL IS A BITCH? Chi cazzo è Bill?
A quel punto, Eric non riuscì a trattenere un ghigno, mentre digitava a velocità vampirica e-mail di risposta.
Le sue dita volavano sulla tastiera; a un occhio umano, sarebbero parse immobili.
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To: RVH1705@hotmail.eng
Te lo spiegherò quando sarai qui.
Va bene lo stesso se la Befana la lascio all'interpretazione di Pam? Sono uno sceriffo, ho una reputazione da difendere, a differenza di te che ti nascondi dietro un nomignolo.
- Bah – sbuffò Pam, constatando che Eric era completamente immerso nella sua conversazione virtuale, e tornò a contemplarsi le unghie.
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To: bill_is_a_bitch@vampmail.com
Visto il lavoro che svolgo, uno pseudonimo mi sembra utile. Certo, se fossi il proprietario di un bar di periferia, non mi farei certi problemi...
Pam l’accetto vestita da Befana a condizione che si lasci spogliare subito dopo. Per quando arriverò a SHREVPORT, prepara il tappeto rosso.
E già che ci sei, anche qualche spogliarellista. Mi è giunta voce che il tuo buco è frequentato da belle pollastre.
RVH
Senza smettere di sorridere, Eric si stirò sullo schienale della poltrona girevole e stese le gambe sulla scrivania.
Pam, richiama la principessina delle tenebre.
Un attimo dopo, la vampiretta heavy metal era di nuovo nell’ufficio.
- Sandy – disse Eric, squadrandola con la fronte corrugata. – Quanti anni hai?
- Sessantaquattro, quasi sessantacinque – rispose lei decisa.
Eric roteò gli occhi.
- Sandy – ripeté, in tono condiscendente – pensavo fossimo d’accordo sul fatto che qui non si dicono le bugie.
La giapponesina deglutì e indietreggiò di un passo.
- Te lo chiedo di nuovo: quanti-anni-hai?
- T-t-tre.
Eric rivolse un sorriso di trionfo a Pam, che incrociò le braccia.
- Mi dispiace, ragazzina – disse lei – il posto di killer è riservato solo a vampiri esperti. I novellini possono accomodarsi fuori. Grazie.
La Lady Nera uscì dall’ufficio con la coda tra le gambe. Pam rimase a guardarla finché non richiuse la porta dietro alle sue spalle. Poi si girò verso Eric e lo fulminò con gli occhi.
- Sei in debito con me di una scopata.
Lui le strizzò l’occhio.
- Quando vuoi, Pam.
- Non te! Bastardo.
- Oh, andiamo – disse Eric allungandosi sempre di più sulla poltrona. – Scommetto che Atropo ti piacerà.
- Credo proprio che lo detesterò a prima vista – borbottò lei, piantandosi i pugni sulle anche e girando i tacchi. - Me ne vado a cercare qualcuno da dissanguare. Grazie per la perdita di tempo. Addio.
Eric sorrise e spense il pc.
Missione compiuta. Ora, si trattava solo di riuscire a convincerlo, quel Raistan Van Hoeck.
* * *
DUE
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Sarò lì per il 26 dicembre.
Shibeen mi ammazza, se le faccio passare il Natale da sola, la conosci.
Il mio volo atterra alle 19.35 a New Orleans; sarà Richard, il mio umano di fiducia, a occuparsi del mio trasbordo. Mandate qualcuno a prelevarci, possibilmente in orario; spero che dalle tue parti le strade siano asfaltate, è già abbastanza stressante stare chiusi in una scatola di metallo per quindici ore di fila senza essere anche shakerati come cocktail sul retro di un furgone. E non toccate Richard. È mio, mi serve.
A presto (purtroppo)
RVH
Quando Raistan Van Hoeck fece il suo ingresso al Fangtasia, la totalità dei giovani vampiri e umani presenti ritenne che fosse saggio frapporre una certa distanza fra sé e l’enorme individuo fermo pochi passi al di là della soglia. Emanava una corrente di minaccia e pericolo che nessuno, di nessuna razza, riusciva a ignorare. Si guardò attorno per qualche istante, con aria vagamente disgustata, poi avanzò ad ampie falcate attraverso il locale, seguito a breve distanza da un umano di circa 45 anni che sembrava, a differenza del proprio capo, parecchio interessato alla variegata fauna locale.
- Eric, c’è un bestione che sta venendo dalla nostra parte, sembra incazzato. - disse Pam, osservando con aria falsamente impassibile l’avanzata del grosso vampiro biondo e nerovestito, che spazzò via senza tante cerimonie un piccolo umano di mezza età che si era incantato a guardarlo.
- Lui sembra sempre incazzato. Pam, ti presento Atropo.
Eric sollevò gli occhi dal monitor della PSP e rivolse la sua attenzione al nuovo ospite.
Raistan si fermò presso il trono da cui, come ogni sera, lo sceriffo dell’Area 5 dominava il proprio piccolo regno di perdizione e gli rivolse un lieve inchino, così come prevedeva la tradizione. Settecento anni, li separavano; ignorare questo dettaglio sarebbe stato poco educato, nonché poco saggio.
- Eric…
- Raistan, eccoti. Lei è Pamela, la mia progenie. Pam, lui è l’amico di cui ti ho parlato.
- Vedo. - rispose lei, squadrandolo con un’occhiata in cui si mescolavano antipatia e curiosità involontaria.
- Vedo anch’io… - rispose Raistan, abbassando sul naso gli occhiali neri e rivolgendole uno sguardo famelico.
- Tutto bene, in viaggio? L’accoglienza a New Orleans è stata consona al tuo rango?
Raistan distolse a fatica gli occhi da Pam e arricciò il naso in un’espressione schifata.
- Un lycan. Hai mandato un lycan a ricevermi. È di cattivo gusto persino per te. Possiamo sederci da qualche parte? Credo tu abbia rimarcato a sufficienza la mia sudditanza nei tuoi confronti, e questo jet lag mi ammazza.
Eric sorrise e si alzò dal suo trono, invitando Raistan a seguirlo attraverso il locale; lui fece un cenno all’umano che si era tenuto in disparte fino a quel momento e quello si avvicinò, occhieggiando Pam con sommo interesse.
- Beviti qualcosa, o fatti un giro…devo parlare di affari con il mio vecchio amico.
- D’accordo, capo. Fai con calma, è un bel posto, dove aspettare - rispose, facendo l’occhiolino alla vampira, che gli elargì un’occhiata schifata di rimando.
Mentre si stavano spostando verso l’ufficio, un umano con una vistosa pelata lucida di sudore e lo sguardo quasi stregato, sbarrò loro la strada, prostrandosi ai piedi di entrambi.
Eric alzò gli occhi al cielo; Raistan lo scavalcò con noncuranza, almeno fino a quando il piccolo uomo non gli si aggrappò a una gamba, chiamandolo “mio signore” e professandosi loro servo.
- Ma che razza di sciroccati girano per il tuo locale? Levati di mezzo, non ricordo l’ultima volta che mi sono nutrito…
Se lo staccò di dosso con un fulmineo scatto della gamba, che fece volare il malcapitato a diversi metri di distanza.
- Oh, non far caso a lui…Si chiama Jeremy, gli piace farsi prendere a calci da me, di solito. Sono quasi geloso, Olandese.
- Te lo lascio volentieri, credimi.
- Prego, accomodati. Posso offrirti qualcosa? Una bottiglia di Tru:Blood? - disse il vichingo, dopo aver richiuso la porta dell’ufficio alle loro spalle. Raistan si stava guardando intorno con aria annoiata, poi prese posto di fronte alla scrivania ingombra di fogli e allungò le gambe davanti a sé.
- Farò finta di non aver sentito. Non bevo quella merda. AB al 10, per me, se non è troppo disturbo.
- Non lo è. Sapevo che avresti risposto così. Per fortuna certe cose non cambiano…Ginger!
Una cameriera scheletrica, con corti capelli ossigenati, entrò di corsa nella stanza, come se fosse rimasta in attesa per tutto quel tempo dietro la porta.
- Sì, capo?
- Portaci due bicchieri di AB al 10. - Notò lo sguardo perplesso della donna e sbuffò. - Sai di cosa sto parlando, vero?
- S-sì, certo, Eric. Sangue. Sangue del gruppo AB. Ma…al 10 di cosa?
- Alcool. Significa corretto col dieci per cento di alcool, Ginger. A volte mi chiedo per che cosa ti tengo a fare…
Lei trasalì, come se si fosse appena risvegliata da qualche sogno e rivolse al suo principale un largo sorriso di gratitudine, che si trasformò in una smorfia e in uno strillo quando Raistan la abbrancò e se la fece sedere sulle ginocchia, fissandola con sguardo da predatore.
- Tu di che gruppo sanguigno sei, ragazza? Potrei anche accontentarmi…
- Olandese, ti prego. È l’unica dipendente che mi resta, ci pensa già Pam a usarla come se fosse un distributore di bibite. Forza, Ginger, muoviti. E ricordati di intiepidirli.
La donna sembrò molto felice di lasciare il grembo dell’imponente vampiro e schizzò fuori dalla porta come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
- Allora, veniamo a noi. Come ti ho brevemente accennato via mail, si tratta di una missione molto particolare, per la quale ho bisogno di qualcuno dotato di notevole sangue freddo e…inventiva. Ho seguito la tua carriera, in tutti questi anni, e so che sei al top, come sicario. Questa volta non dovrai uccidere nessuno, non di proposito, insomma, ma…ritrovare qualcuno che si è perso in un luogo…lontano.
- La cameriera con il nome da puttana. - disse Raistan, stirandosi con voluttà sulla sedia, come un grosso gatto. Un attimo dopo si ritrovò a fissare molto da vicino i lunghi canini del vichingo, sfoderati per l’occasione a pochi centimetri dal suo naso. Riuscì a mantenersi notevolmente impassibile, ma a Eric non sfuggì il sobbalzo del suo pomo d’Adamo; gli sibilò soltanto un “Attento”, per poi riprendere posto sulla sua poltrona.
- Chiariamo subito una cosa: non gradisco che si parli in quei termini di Sookie Stackhouse, non in mia presenza. Pensi di riuscire a dominare la tua proverbiale linguaccia o devo essere più persuasivo?
Il killer cambiò posizione sulla sedia, a disagio, ma non abbassò mai gli occhi, e sbuffò.
- Che permaloso…va bene, va bene. D’ora in poi mi riferirò a lei chiamandola ‘Sua Maestà’. Contento? Comunque…fin qui è tutto chiaro. Non ho capito bene cosa c’entrano le fate. O era solo un pretesto per attirarmi in questo cesso di posto?
- Nessun pretesto. Di fatto, fonti sicure indicano come luogo della scomparsa di Sookie proprio… il loro Regno.
Ginger era tornata, portando in equilibrio precario su un vassoio i due bicchieri colmi di sangue. Li appoggiò sulla scrivania e poi si dileguò, lanciando occhiate preoccupate ai due vampiri che si stavano fissando attraverso il tavolo nell’immobilità più assoluta, come se fossero improvvisamente piombati nell’animazione sospesa. Poi, in modo altrettanto improvviso, Raistan scoppiò a ridere e si colpì una coscia con una sonora manata, rovesciando la testa all’indietro. Eric congiunse le mani davanti a sé e sospirò. Si preannunciava una lunga serata, e la reazione dell’olandese non era davvero quella che aveva sperato.
- Il…il regno delle Fate…ahahahahaha, buona questa…d’altronde, uno che chiama il proprio locale Fangtasia…ahahahaha, non pensavo che avessi un simile senso dell’umorismo, vichingo, ahahaha…e chi saranno i miei aiutanti? I sette nani? No, no, meglio Trilly, e non può mancare Peter Pan…ahahahaha…e come…come dovrei arrivarci? Hai un tappeto magico? Ahahahah oddio, valeva la pena di farsi quel viaggio di merda, per ridere tanto…
- Falla finita. Non è uno scherzo. Smettila. - ringhiò Eric e qualcosa nel suo tono, o forse nella sua postura tesa, indusse l'Olandese a soffocare in qualche modo le risate e ad asciugarsi gli occhi inondati di lacrime rosse. Raccolse il bicchiere dalla scrivania e ne trasse un lungo sorso, tenendo per sicurezza la testa abbassata, per nascondere le ultime tracce d’ilarità.
- Perdonami, Eric. Non volevo mancarti di rispetto. Converrai con me, tuttavia, che una notizia simile non è qualcosa che si sente tutti i giorni…tu…tu ci credi, insomma.
- Sì, ci credo. Le fate esistono e Sookie lo è per metà. E io so, da fonti sicure, che si trova laggiù e che loro non le permetteranno di tornare indietro.
- E io dovrei…
- Sì. Tu dovrai trovarla e portargliela via. È questa, la missione che voglio affidarti. - Prese a sua volta il bicchiere, ma non bevve. Rimase a guardare il suo ospite mentre sorseggiava con lentezza il liquido scarlatto, sostenendo con tranquillità il suo sguardo da rettile. Non c’era bisogno del legame di sangue, per leggere in lui scetticismo, curiosità e freddo calcolo. Esattamente quello che si aspettava di trovare nella mente di un sicario.
- La brutta notizia è che dovremo procurarci un lasciapassare; quella bella, è che, dall’altra parte, avrai assoluta libertà di manovra e diritto di vita e di morte su ogni fatina che incontrerai. Tanto, non hanno un Polizia che indaga sui… faticidi nel loro regno. Ti sembrerà di essere al luna park, vedrai. Allora? Cosa mi rispondi?
Raistan lo fissò ancora per un lungo istante, poi scolò il resto del sangue in un unico sorso.
- Io le odio, le fate. - dichiarò, e sorrise in maniera così raccapricciante, che il vichingo ringraziò, per un attimo, di non appartenere alla categoria.
*
*
TRE
Pam stava origliando fuori dalla porta dell’ufficio di Eric. Non era una bella cosa da fare e lei lo sapeva, ma da quando Eric aveva bevuto il sangue di Sookie, non era più lo stesso. A dire il vero, non era più lo stesso dal momento in cui la bambolina bionda aveva portato il suo culo rotondo nel Fangtasia per la prima volta.
Sookie Stackhouse, sei una piccola troietta portatrice di guai. Eric mi rifilerebbe una sberla se mi sentisse parlare di lei in questi termini.
D’altra parte, la ragazzina l’aveva colta alla sprovvista, lanciandosi al salvataggio di Eric. Non si sarebbe mai aspettata che avrebbe spontaneamente deciso di salvare Eric dal sole. E poi, sempre spontaneamente, gli aveva offerto il suo sangue.
D’accordo. Sono una stronza. Che novità.
Pam non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva o morta, ma dentro di sé provava gratitudine. Perché se Sookie non fosse corsa fuori a riportarle Eric, lo avrebbe fatto lei, e si sarebbe lasciata ardere insieme al suo creatore.
- Bwahahahah.
La grassa risata proveniente dall’interno dell’ufficio la distolse dalle sue riflessioni. Era il grosso cazzone olandese che si stava sganasciando dalle risate. Il tipo assomigliava parecchio a Eric. Aveva praticamente la sua stessa statura e lo stesso colore di capelli – solo più chiaro: da quando Eric aveva smesso di chiederle di fargli le méches era tornato a essere biondo scuro. In effetti, le ricordava terribilmente la prima immagine che aveva avuto del suo creatore, in quella fredda sera di novembre, in quel vicolo sporco di Whitechapel a Londra. Bei tempi. Il terrore l’aveva presa come una morsa gelida, quando aveva visto i canini di Eric scattare in fuori come i denti di un serpente… Ma era durato poco.
E poi era rinata, ed Eric era lì con lei, che la stringeva fra le braccia. La prima cosa che aveva notato di lui, ancor prima dei canini e del pallore mortale, erano i capelli lunghi e biondi nascosti sotto il cappuccio nero… troppo lunghi e troppo biondi per un qualsiasi gentiluomo londinese degli inizi del Novecento.
Questo bestione olandese, però, poteva anche somigliare a Eric nell’aspetto, ma di certo non nei modi. Si stava ancora sbellicando dalle risate, ululando come un mannaro ubriaco.
Orrido.
Pam sentiva l’irritazione di Eric gonfiarsi e sgonfiarsi attraverso il blood bond.
Davvero Eric pensava che questo Raistan Van Hoeck – come cavolo era… Atropo? Ah, sì. Come la Moira. Un killer esperto di mitologia greca, abbiamo! – fosse il vampiro adatto per recuperare Sookie?
Eric era teso come una corda di violino, da quando lei era sparita. Non avrebbe mai e poi mai affidato un tale incarico a qualcuno che fosse meno che degno del suo rispetto. Forse, lo sbruffone aveva qualche colpo in canna.
- D’accordo, allora – disse la voce di Eric. – Fammi sapere come intendi procedere. Voglio essere informato su tutto, e quando dico tutto, intendo…
- Tutto. Rilassati, Northman. La situazione è sotto controllo. Devo solo scoprire come faccio a entrare nel… Mondo delle Fate… hihihi… scusami, ma mi fa troppo ridere. Basta. Sono serio. Dicevo. Dammi un paio di giorni. Ci sarà pure qualcosa che piace a queste fatine del cazzo, no?
Quella era la voce di Raistan.
- Cos'hai in mente? Costruire una trappola per fate?
- Esatto. Noi dobbiamo solo trovare il giusto tipo di… uhmm… formaggio. Non ne sai proprio nulla di nulla, tu? Cosa ne sai delle fate?
- Niente, a parte quello che si dice di loro dalla notte dei tempi. Ma… pensandoci bene, in cantina c’è qualcosa che potrebbe esserci utile.
Pam sapeva che Eric stava sogghignando anche senza poterlo vedere.
Inavvertitamente, fece scricchiolare il tacco a spillo della sua scarpa contro il battiscopa.
Poi successe tutto come una folata di vento.
L’istante successivo, la bestiaccia olandese l’aveva spiaccicata contro il muro usando tutto il peso del suo corpo, e i suoi canini erano puntati contro la sua gola. Puntati? Erano quasi conficcati.
- Stronzo merdoso, levami le tue zampe di dosso! – stridette Pam digrignando i denti e tentando di scrollarsi Raistan, che nel frattempo le stava ringhiando nell’orecchio, via di dosso, ma era troppo pesante. Come se non bastasse, doveva essere più vecchio di lei di almeno due, trecento anni.
- Mi stai stropicciando il vestito, pezzo di idiota!
- Oh-oh-oh, cosa abbiamo qui? Una piccola ficcanaso inglese – sibilò lui, allontanando la testa dalla sua gola quanto bastava per guardarla in faccia.
– Paparino non ti ha insegnato che non si origlia dietro le porte?
Sorrideva.
Che stronzo.
- Hm-hm-mmm. Raistan, lascia in pace Pam.
L’ordine perentorio di Eric arrivava da dietro le spalle del bestione.
Raistan indietreggiò di un passo e Pam fu libera. La prima cosa che fece, fu controllarsi il tubino nero monospalla che indossava.
- Eric, il tuo amichetto mi ha appena sbavato sul vestito – disse subito dopo, rivolta al suo Maker.
Eric se ne stava appoggiato con una spalla contro lo stipite della porta, a osservare la scena con le braccia incrociate sul petto.
Scommetto che la cosa lo diverte da matti, pensò Pam, irritata come non mai.
- Sono sicuro che il signor Van Hoeck non vede l’ora di mandarlo in lavanderia a sue spese. Vero, Raistan?
Raistan lo scrutò di rimando, corrucciato.
- Non ti dà fastidio che tua figlia ti spii a tua insaputa? – borbottò.
Eric lasciò vagare lo sguardo attorno a sé con aria indifferente.
- Sapevo che era dietro la porta, e di questo parlerò in privato con lei. Non è affar tuo educare la mia progenie. Piuttosto, ammettilo che cercavi solo una scusa per palparle il sedere – aggiunse, con un sorriso malizioso.
Raistan gettò un’occhiata in tralice a Pam, che lo incenerì con lo sguardo.
Ma sei tutta un fuoco, mijn kind. Scommetto che io e te faremo scintille.
Toccami ancora e ti faccio ingoiare le mutande, Olandese del cazzo.
Eric non poté fare a meno di sorridere, notando lo scambio di sguardi fra Raistan e Pam.
- Te l’avevo detto che era un tipo simpatico – esclamò rivolto a Pam, che gli indirizzò la stessa occhiata feroce.
- Pam, adesso, per favore, torna in sala. C’è bisogno di qualcuno che terrorizzi i parassiti in mia assenza. Hai il permesso di sederti sul mio trono, ma solo finché non sarò di ritorno.
Pam lo squadrò con aria risentita.
- Mi stai cacciando, Eric? Per stare da solo con lui?
Eric alzò gli occhi al soffitto ed esalò un sospiro rassegnato.
- No, Pam. Non ho intenzione di estrometterti da tutta questa faccenda. Ma vedo che sei piuttosto maldisposta verso il mio ospite e non posso certo elaborare un piano decente con te pronta a esplodere da un momento all’altro. Vai.
Lei gli lanciò un’ultima occhiata stizzita e poi girò sui tacchi, non senza aver prima fulminato Raistan con lo sguardo.
*
- Gelosetta, eh? – fece l’Olandese.
- Non me lo dire. Lo è sempre stata, ma ultimamente è diventata ancora più possessiva – replicò Eric, facendogli cenno di avviarsi lungo il corridoio che conduceva alle scale per lo scantinato.
- Non mi stupisce. Con te che ti dai tanto da fare per ritrovare una stupida umana, anch’io sarei piuttosto incazzato, se fossi femmina e tu fossi il mio Creatore.
Eric non rispose; si limitò a camminare con le mani affondate nelle tasche. I passi di entrambi erano assorbiti dal frastuono, pur attutito, proveniente dalla sala centrale: rock industrial, o qualcosa del genere. Nine Inch Nails, forse.
- Insomma, si può sapere perché per te è tanto importante ritrovare quella cameriera? – insistette Raistan. - Se devo spaccarmi il culo per te a una cifra così irrisoria, voglio almeno sapere che lo sto facendo per un motivo valido! È una questione di principio? Motivi territoriali? Te la vuoi scopare a tutti i costi?
- Sì. No. Sì – rispose Eric laconico.
- È bella?
- Carina.
- Intelligente? Spiritosa, brillante?
- Sono sicuro che lo sia, anche se sa nasconderlo molto bene – sorrise Eric, guardando per terra.
- Tsk. Ma allora mi sto svendendo per salvare il didietro di un cesso rincitrullito.
Eric afferrò i lunghi capelli di Raistan alla base della nuca e gli tirò la faccia verso la sua, snudando le zanne.
- Van Hoeck. Non sei qui per lanciare giudizi su gente che non conosci e soprattutto, non sei nella posizione di prenderti gioco di me. Mi hai capito?
Raistan ruggì sommessamente. La tentazione di fare il Raistan era fin troppo forte, ma quei settecento anni che li separavano pesavano come un macigno. Eric aveva suppergiù la stessa età di Shibeen e, stando alle dicerie e a quel poco che lui stesso aveva avuto modo di sperimentare in passato, sapeva essere molto, molto più feroce.
‘Fanculo, vichingo.
- Va bene, faccio il bravo – borbottò fra i denti; Eric, senza smettere di fissarlo minacciosamente, ritirò le zanne e mollò la presa.
- Però lasciatelo dire, amico.
Oh, no. Ora stava facendo il Raistan. Eric si era voltato di spalle, accennando a muovere un passo.
– Dovresti proprio tirare fuori un po’ di palle e ammettere che l’umana ti piace.
Eric si bloccò sui suoi passi, senza voltarsi.
- È per la telepatia – disse, cupo. – Per la telepatia e per il sangue di fata. Null’altro. La ragazza mi serve. Discorso chiuso.
Sì, certo. Vecchio mio, sei proprio ridotto a uno straccio.
Raistan dovette mordersi la lingua quasi a sangue per non pronunciare quel pensiero a voce alta; sapeva che, se lo avesse fatto, nulla avrebbe impedito al vichingo di stamparlo contro la parete come un francobollo alto due metri.
- Cosa c’è nello scantinato? – chiese a voce alta, tanto per cambiare discorso.
Eric stava spalancando proprio allora la squallida porta che conduceva al piano seminterrato, oltre la quale s’intravedevano dei ripidi e spogli scalini di cemento, avvolti nel buio.
- Il vampiro Bill Compton. Ex amante di Sookie, nonché uno dei pochi fortunati a essere entrato nel mondo delle fatine.
- “Bill is a bitch”? – sghignazzò Raistan. – Ahhhhh. Ora tornano i conti. Bene bene bene… Adesso sì che le cose si fanno interessanti.
Già gli prudevano le mani. E le gengive. Si sporse oltre la piccola porta e individuò, immerso nella penombra, un tizio accovacciato per terra e attaccato al muro tramite quello che sembrava un grosso collare di metallo. Ordinaria amministrazione, insomma. Acqua zuccherata, rispetto a ciò che aveva passato lui nelle carceri del clan dei Diurni. Forse lo sceriffo Northman non aveva la manina pesante come Vincent e soci? Guardando meglio, Raistan notò che il tizio aveva il torso nudo incrostato di sangue.
Meno male, temevo si fosse rammollito completamente, pensò tornando a guardare Eric, che si era appoggiato con la schiena allo stipite della porta, i pollici infilati nei passanti dei jeans di pelle nera, come a dire “Ti muovi o no?”.
- Dimmi solo una cosa. C’è un motivo per cui lo tieni recluso? – gli domandò.
Eric rimase impassibile.
- Ha tentato di uccidermi.
- E come ha fatto? – domandò Raistan, sinceramente curioso.
- Mi ha inondato con una colata di cemento. Sperava di togliermi di mezzo per i prossimi cinque secoli.
- Però. Piuttosto ingegnoso, l’amico.
- Ha solo approfittato della mia idea.
- Cosa?
- Lascia perdere, questi sono dettagli inutili ai fini della tua missione.
Si voltò e prese a scendere i gradini e Raistan lo seguì.
- Perché non l’hai ucciso?
- Sono convinto che possa essermi utile per ritrovare Sookie. Inoltre, non credo che lei la prenderebbe molto bene, se sapesse che ho fatto a pezzi il suo ex. Sai come sono fatte le donne umane...
Arrivati in fondo alle scale, Eric si avvicinò lentamente al vampiro incatenato, che sollevò la testa di qualche centimetro rivelando una faccia angosciata che Raistan detestò all’istante.
*
- Come andiamo, Billy? – disse Eric, in tono quasi gentile.
- Liberami, bastardo. Devo andare a salvare Sookie! – esclamò lui per tutta risposta.
- Spiacente, no. Salvare Sookie non è più una tua prerogativa, non dopo tutto quello che hai fatto.
- Ah, sì? Cosa speri di ottenere, vigliacco? Vuoi diventare il suo eroe, eh? – ringhiò Bill, a canini scoperti.
Eric si sentì prudere le mani. Il desiderio di colpire con un manrovescio la mascella di quello stronzo pieno di sé era impellente, ma non si sarebbe sporcato le mani con il suo sangue. Non più.
- Oh, certo. Proprio come hai fatto tu – gli sibilò sul muso, dopo essersi piegato sulle ginocchia in uno scatto velocissimo. – Solo che, a differenza di te, io non avrò bisogno di inscenare l’eroico salvataggio glamourizzando due miserabili rifiuti umani per farla picchiare.
Bill ritirò le zanne e abbassò il mento, senza tuttavia smettere di guardarlo in cagnesco.
- Bill, Bill – sospirò Eric, rialzandosi. - Sei sempre stato un piccolo imbroglioncello con un pessimo senso dell’umorismo, ma almeno un tempo avevi il buon senso di rispettarmi. Ringrazia la nostra passata amicizia, perché se non fosse per quella, ora saresti una pozzanghera rossa. Ti presento il mio nuovo collaboratore, Raistan Van Hoeck. Raistan, Bill Compton.
*
Raistan sfoderò un sorriso zannuto e si avvicinò di qualche passo, ben deciso a sfruttare tutti i suoi quasi duecento centimetri di altezza per torreggiare sull’insignificante nanerottolo accovacciato ai suoi piedi, che lo guardava carico di odio. Le lunghe striature rosse sulle sue guance segnalavano che aveva pianto parecchio.
Molto melodrammatico, pensò, e il suo sorriso si fece più sinistro.
Eric si rimise le mani in tasca.
- Patti chiari, amicizia lunga, Bill – riprese. – Tu non uscirai di qui, e questo è un dato di fatto. Sookie è in pericolo, prigioniera chissà dove, e questo è un altro dato di fatto. Il signor Van Hoeck è qui appunto per questo, per trovarla e riportarla indietro il più possibile incolume; e questa è una cosa che vogliamo entrambi. Per cui ti consiglio di essere saggio e dirci tutto ciò che sai sulle fate.
- Muori, Eric – grugnì Bill.
Eric lanciò un’occhiata a Raistan, che allungò un braccio e afferrò Bill per il collo, sollevandolo di almeno mezzo metro da terra. La catena attaccata al collare era tesa al massimo. Bill rantolò e si dibatté, con i canini inutilmente estesi e la bocca arricciata in una smorfia di dolore.
- Senti, Billuccio – disse Raistan. – Mr. Northman mi ha ingaggiato per fare quello che amo di più al mondo, e cioè uccidere. Ti confesso che sto iniziando a spazientirmi, quindi, se non collabori, potrei sfogare la mia frustrazione su te.
- … Non… parlerò… Sookie è… mia… la salverò… io…
- Bla, bla, bla. Davvero commovente. Potresti farti scritturare come novello Romeo, lo sai?
Aprì la mano di scatto e Bill crollò a terra con un tonfo.
Poi gli fu addosso e lo morse alla spalla, strappando via un pezzo di carne. Bill urlò. Eric rimase a guardare la scena impassibile.
Raistan masticò il pezzo di carne strappato e poi lo sputò con disgusto.
- Non fargli troppo male, Olandese. Ci serve vivo e cosciente.
- Tranquillo, boss – rispose lui, pulendosi la bocca con il dorso della mano; poi, di nuovo rivolto a Bill, la cui spalla stava già iniziando a risanarsi, disse: - Sei fortunato che non ho con me il mio kit, Billy Boy. L’ho lasciato in albergo, ma se continui a fare il cocciuto, farò un salto a prenderlo. Ho un sacco di oggettistica divertente, sai? Divaricatori, rasoi d’argento e altre belle cosine.
- Parla, Bill – disse Eric. – Sappiamo che sai più di quanto ammetti, e che sei stato nel loro mondo. Dicci ogni cosa. Adesso.
Bill lo guardò con un misto di rassegnazione e rancore.
- Le fate si tengono alla larga dai vampiri – sospirò infine. – Ma se un vampiro ha sangue di fata dentro di sé, può mascherare la propria natura e avvicinarle facilmente. Non ho idea di come abbia fatto a entrare nel loro regno, ma presumo sia perché ho bevuto il sangue di Sookie in abbondanza. Devo esservi entrato attraverso il suo inconscio. Non credo che riuscirete a fare altrettanto. Ma so che sono esseri ingenui, e che adorano le gelatine alla frutta. È il solo motivo per cui fanno incursioni nel nostro mondo.
Raistan lanciò un’occhiata maliziosa a Eric, che rimase impassibile.
- Come hai fatto a scoprire tutte queste informazioni? – chiese Eric, attonito.
Bill scrollò le spalle.
- Ho fatto il procurer per la regina per 35 anni, e durante tutto questo tempo lei non ha fatto altro che tartassarmi con questa faccenda delle fate e della protezione solare. Ho letto un sacco di vecchi libri. Fatto un sacco d’indagini, spulciato leggende. Eccetera.
- Quindi… possiamo tendere una trappola a una fata… E usarla come tramite per arrivare da Sookie? Usando la gelatina di frutta? È questo che mi stai dicendo?
- È teoricamente possibile – borbottò Bill – Ma ricordati che non si avvicineranno, se sentiranno la presenza di vampiri.
- Io ho bevuto da Sookie due volte – rifletté Eric, con lo sguardo perso su un punto del pavimento – E quindi, se la tua teoria è giusta, dovrei riuscire a mascherare la mia natura.
- Ma io no – intervenne Raistan.
- Bill però sì – fece Eric. – E tanto. Il sangue di Sookie è in circolo dentro il suo corpo.
I due si scambiarono una lunga occhiata eloquente, poi Raistan fu di nuovo su Bill, lo immobilizzò e lo morse al collo, succhiando avidamente.
QUATTRO
Eric temette di avere un problema quando vide gli occhi di Raistan, abbarbicato a Compton come un cucciolo di koala alla madre, rovesciarsi nelle orbite in un’espressione di pura estasi. Anche Bill pensò la stessa cosa e urlò, tentando di staccarsi di dosso il massiccio olandese; quello che riuscì a fare, fu schiacciargli contro una guancia il bracciale d’argento delle manette che gli cingevano i polsi. Il killer ruggì di dolore e di rabbia, si scostò con precipitazione e lo fissò con sguardo stralunato per un istante, con filamenti di sangue scuro che gli colavano dalle labbra ritratte in un ringhio; si tastò la guancia, su cui spiccava, violacea, l’ustione dovuta al metallo proibito, e poi, incredibilmente sorrise, anzi, sogghignò.
- Fai il difficile, eh, frocetto? Vorrà dire che mi prenderò qualche soddisfazione extra, con te. Hai qualcosa in contrario, Eric? - chiese, volgendo lo sguardo verso il vichingo, che scrollò le spalle in un gesto noncurante.
- Fai come se fossi a casa tua, ci mancherebbe. Non ucciderlo, però. Ci può ancora servire. Quando hai finito sali, dobbiamo parlare.
- Non puoi! Eric, non puoi! Sookie non ti perdonerà mai, non puoi lasciarmi in mano a questo pazzo! Non puoi portartelo dietro, non… - urlò Bill, occhieggiando con terrore Raistan che torreggiava su di lui e lo fissava con sguardo rapace, massaggiandosi la guancia con aria distratta.
- Quello che non ti è chiaro, Bill, è che io posso. E può anche lui, visto che è stato così saggio da chiedermi il permesso. Cerca di non urlare troppo forte, se riesci, odio gli strepiti.
- Me la pagherai! Me la pagherete tutti e due, bastardi! - urlò Bill, mentre Raistan sfrecciava alle sue spalle e lo sospingeva a terra con una manata. Il suo ghigno si era ulteriormente allargato, facendolo assomigliare a un alligatore fatto di acido. L’ultima cosa che Eric vide, prima di richiudersi la porta dello scantinato alle spalle, fu l’olandese, in ginocchio sulla schiena di Compton, che slacciava con lentezza la cintura dei jeans neri, canticchiando un motivetto a mezza voce, sordo alle sue proteste e minacce. Davvero un mattacchione, quel Van Hoeck, sempre pronto a spassarsela.
- Divertito? - Chiese Eric.
Due ore dopo circa, Raistan riemerse dallo scantinato, Èsucchiandosi le dita di una mano con aria distratta e sguardo sognante. Pam lo aveva squadrato con il solito cipiglio, anche se non aveva potuto impedire a un pensiero birichino di sfrecciarle nella mente per un attimo: ‘Per com’è adesso, così rilassato e sorridente, potrei farci un pensierino.’
- Non male, vichingo, non male. Oh, buonasera, Pamela, è un piacere, incontrarti di nuovo. - disse il killer, compiendo un velocissimo giro attorno alla vampira, quasi una piroetta, e sedendosi con noncuranza sulla scrivania di Eric, senza mai smettere di sorridere.
- Grazie. Eric, posso restare o dovete di nuovo confidarvi i vostri segreti più intimi?
- Temo che… - rispose lui, abbassando gli occhi. Raistan stava ancora canticchiando e faceva oscillare una gamba a tempo, all’apparenza perso in un mondo tutto suo. Pam non gli diede nemmeno il tempo di concludere la frase e sfrecciò fuori dall’ufficio, sbattendosi dietro la porta con tale violenza da far finire a terra, per lo spostamento d’aria, un manifesto appeso lì accanto.
- Perché non vuoi che ascolti? Io non ho segreti, per la mia creatrice - disse Raistan.
- Perché inizierebbe a fare un sacco di obiezioni. Non ho voglia di discutere. Allora, Van Hoeck, tornando a noi. Ti sei fatto venire in mente uno straccio di piano? È per questo che ti pago, non per divertirti nel mio seminterrato.
- Centomila dollari non sono pagarmi, quindi cambia argomento. E io ho sempre un piano.
- E sarebbe?
- Prima dobbiamo procurarci qualche chilo di quelle gelatine di frutta. Ne hai? Ne mangerei qualcuna anch’io, adesso che mi ci fai pensare. Tu no?
Eric gli rivolse un’occhiata di puro disgusto. Era evidente, anche dalla reazione quasi orgasmica di Raistan nel seminterrato, che il sangue di fata aveva su di lui un effetto molto potente. Sperava solo che non diventasse un problema, rendendolo instabile.
- No, io no. Domattina manderò un mio collaboratore umano a comprarle. Hai qualche preferenza, riguardo ai gusti? - gli chiese, inarcando un sopracciglio e appoggiandosi allo schienale. Non si aspettava una vera risposta, ma l’olandese lo stupì ancora una volta: - Fragola. O frutti di bosco. Per quello che ricordo, mi piacevano molto… - disse, con gli occhi che brillavano.
- Van Hoeck, mi preoccupi.
- È tutto sotto controllo - borbottò, ma subito dopo aggrottò la fronte e smise bruscamente di sorridere, fissando il vichingo con aria severa. - No. Non è vero. Perché mi sento così? Che cos’ha di speciale il sangue delle fate?
- Non lo sai? Non conosci le vecchie leggende sulla loro razza, e sulla nostra? Ti credevo un cultore della mitologia…Atropo.
- Sì, ma non leggo fiabe.
- Allora dovrò farti un corso accelerato. È meglio che tu sappia con cos’avrai a che fare.
- D’accordo.
Alla fine, Raistan camminava avanti e indietro per l’ufficio con aria sconvolta, una specie di strano ghigno agghiacciato impresso sul volto pallido.
- Non mi stai prendendo in giro, vero? Protezione dal sole? Ma è incredibile!
- Sì, ma dura pochissimo, anche se devo ammettere che non so come sarebbe col sangue di una fata di razza pura. Temo comunque che dovrai andarci cauto: per noi, il loro sangue è come il V per gli umani. Dà dipendenza, e tu mi sembri particolarmente ricettivo, amico mio.
- Va bene, va bene. Mi muoverò domani sera, ormai è troppo tardi.
- Due cose.
- Quali? - chiese Raistan, stringendo gli occhi, diffidente.
Eric sospirò e allungò un braccio verso di lui, porgendogli il polso.
- Bevi. Meglio che ci sia un legame anche tra di noi, potremo comunicare col pensiero e tutto il resto.
L’olandese lo fissò per un istante, poi gli incise delicatamente la pelle e trasse alcuni sorsi del suo fluido potente; fece lo stesso e permise al vichingo di entrare in contatto con la parte più profonda della sua essenza, sebbene molto a malincuore.
- La seconda cosa?
- Quando troverai Sookie, mi chiamerai immediatamente e non la sfiorerai nemmeno con un dito, o dovrai vedertela con me. Non transigo su questo punto, olandese, voglio che sia chiaro.
Raistan sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
- Uff, me l’hai già detto. E poi, per quello che mi hai raccontato, la tua pu…ehm…pulzella non mi attrae per niente. Adesso se permetti, mi ritiro in albergo. Ho bisogno di una doccia, il tuo scantinato puzza da far schifo e anche quel Compton. Ci vediamo domani sera, subito dopo il tramonto, con le gelatine. Io porterò qualcuno dei miei giocattolini.
- D’accordo. Ehm…Van Hoeck?…
- Sì?
- Indossa qualcosa di chiaro. E con le maniche lunghe.
- Posso capire il chiaro, laggiù a Neverland, ma perché le maniche?
- Perché pare che le fatine…mordano.
Raistan lo fissò, poi scoppiò a ridere proprio come aveva fatto qualche ora prima, senza riuscire a trattenersi. Ricordò anche la reazione poco favorevole del vichingo e abbassò la testa fra le mani per un attimo, per riprendere il controllo.
- Scusa. Basta. Maniche lunghe. Va bene. Ci vediamo domani.
Si alzò, gli rivolse un fulmineo inchino, poi sfrecciò fuori dall’ufficio. Eric percepì l’eco della sua risata e scosse la testa, poi decise di scendere a controllare che del suo amico Bill-is-a-bitch Compton fossero rimaste almeno le ossa.
La sera successiva, Raistan si presentò al Fangtasia con puntualità, indossando il suo lungo cappotto di pelle nera, preso in prestito tanti anni prima a un ufficiale nazista.
-Ti avevo detto di vestirti con colori chiari - commentò Eric, squadrandolo con irritazione.
L’olandese aprì il pastrano, rivelando con un certo imbarazzo gli abiti al di sotto: jeans sdruciti di un azzurro quasi bianco e un’inquietante t-shirt a maniche lunghe, bianca, con una stampa di Snoopy intento ad abbracciare con aria estatica il suo amico Woodstock. Eric non poté fare a meno di sghignazzare, soprattutto nel vedere l’espressione abbattuta del killer.
- Ho detto a Richard di trovarmi qualcosa di rassicurante, ma non intendevo fino a questo punto…il cappotto lo nasconderò da qualche parte, ma mi serve, è quello che uso in tutte le missioni, ha la fodera interna piena di tasche con un sacco di gingilli interessanti. Trovate, le gelatine?
Eric sollevò un gigantesco sacchetto di plastica trasparente, targato “Candy World”, contenente una quantità quasi imbarazzante di gelatine di frutta.
- Fragola e frutti di bosco, proprio come mi hai chiesto…fatina. - disse, porgendolo a Raistan che lo ringraziò con un ringhio.
- Adesso ti accompagnerò al cimitero di Bon Temps, dove Sookie è scomparsa. Da lì dovrai cavartela da solo, va bene? In ogni caso, se qualcosa dovesse andare veramente storto, chiamami, e io vedrò di raggiungerti.
- Non ce ne sarà bisogno, a meno che non mi scatenino contro Bambi. Come sta il tuo ospite?
- Maluccio, direi. Ci sei andato giù pesante, cattivone.
- Davvero? E dire che mi sembrava di essere stato molto affettuoso…
Sghignazzarono insieme, ma furono interrotti dall’ingresso di Pam, che rivolse un’occhiata di puro disgusto alla maglia di Raistan. Lui chiuse con precipitazione i lembi del cappotto e abbassò gli occhi, imbarazzato.
- Carina…stai andando a una festa in un asilo? - gli chiese, senza riuscire a trattenersi. Se ne pentì un tantino, quando il killer la fulminò con uno sguardo capace di incenerirla e si lasciò sfuggire un ringhio minaccioso, dal profondo della gola.
- Frena, Pam. Il nostro amico è in incognito. Adesso usciamo, devo accompagnarlo in un posto. Bada tu al locale, tornerò appena posso.
- C’entra lei, vero? Hai assoldato Van Hoeck per ritrovarla, scommetto. E lo pagherai con i nostri soldi, ovviamente. Tu hai perso del tutto il cervello, Eric, io…
- Basta! Quando vorrò la tua opinione, te la chiederò. Adesso, se vuoi scusarci…
Pam incrociò le braccia sul petto in un gesto che a Raistan ricordò moltissimo Shibeen, la sua creatrice. Le sfilò accanto assieme al vichingo, portando con sé il sacco di gelatine, e pensò che da arrabbiata, la vampira fosse ancora più bella.
*
- Eccoci qua. Cimitero di Bon Temps - annunciò Eric.
Non avevano quasi detto una parola, durante il viaggio da Shreveport fino a lì, ciascuno perso nei propri pensieri. Raistan aveva fumato un paio di sigarette e si era concesso una mezz’oretta di animazione sospesa, per rilassarsi. Non che fosse agitato, o preoccupato, non lo era quasi mai. Il sentimento predominante era ancora lo scetticismo. Fino a che non avesse visto con i propri occhi una di quelle creature e non avesse varcato il confine del loro mondo, avrebbe continuato a pensare che il vichingo avesse battuto la testa una volta di troppo. Eppure, il sangue di quel Compton…non aveva mai assaggiato niente del genere. Con esso, era fluita in lui una miriade d’immagini incredibilmente vivide, in cui la luce, la luce del sole, la faceva da padrone. Non era la prima volta che assorbiva ricordi delle proprie vittime, assieme al loro sangue, ma non era mai accaduto in modo tanto violento. L’unica cosa che aveva salvato il nanetto dal dissanguamento totale era stata la sua idea di ustionarlo con il bracciale d'argento. Dopo, aveva mentito a Northman, quando gli aveva assicurato che tutto era sotto controllo: non lo era per niente. Se quelle creature esistevano veramente, e se il loro sangue era così potente, ne avrebbe sterminata una dopo l’altra solo per risentire quel gusto celestiale, ancora e ancora e ancora. Non sarebbe riuscito a trattenersi. Quindi, a pensarci bene, Atropo era preoccupato.
- Van Hoeck…pronto? Ci sei? - disse Eric, scuotendo l’olandese per una spalla e facendolo trasalire. Per un attimo, Raistan lo fissò come se nemmeno lo riconoscesse, poi si riscosse e si passò una mano sul viso in un gesto di stanchezza più che umano.
- Siamo arrivati, dicevo. Ma stai bene?
- Certo. Allora vado.
- Non dimenticare le gelatine.
- No.
- Percepisco qualcosa di strano, in te. Sei sicuro di stare bene?
- Sì, benissimo. Andrà tutto liscio come l’olio. Ti riporterò la tua cameriera e potrai scopartela in lungo e in largo - Aprì la portiera e scese davanti al cancello di ferro del piccolo cimitero, illuminato da qualche malinconico lampione e dalla sfera argentata della luna. Fece per voltarsi, ma Eric lo richiamò: - Ehm…grazie. Lo apprezzo molto. Fai attenzione…le cose non sono sempre come appaiono, specie nel nostro mondo. Tienimi informato.
- Sì, papino - rispose Raistan, con un ghigno sbilenco, poi si girò e varcò il cancello, traendone un sinistro scricchiolio. Udì la macchina che si allontanava e per un attimo si sentì solo ed esposto, poi chiuse Raistan dentro se stesso e sguinzagliò Atropo che, d’altronde, scalpitava per uscire.
Il killer s’inoltrò nel piccolo cimitero, guardandosi intorno alla ricerca di un luogo adatto in cui sostare. Se un attimo prima grilli e cicale esprimevano a voce alta la loro gioia di vivere, ora tutto era immerso nel silenzio più profondo, come in attesa. Raistan scorse due tombe dall’aria vetusta, affiancate, in un grazioso cantuccio accanto a un salice piangente, e decise che poteva essere il posto adatto, per aspettare l’arrivo delle fate…ammesso che arrivassero. Si era dimenticato di chiedere a Eric che aspetto avessero, ma immaginava che quando fossero apparse, le avrebbe riconosciute. Si tolse il cappotto di pelle e lo nascose dietro una lapide, poi si sedette sulla piattaforma di marmo bianco di una delle tombe e aprì il gigantesco sacchetto di caramelle. Il desiderio di assaggiarle era un po’ meno forte del giorno prima, nondimeno ne scartò una e le diede un piccolo morso. Non lo disgustò come accadeva per la totalità dei cibi, quindi se la cacciò in bocca per intero e la masticò, provando una sensazione strana, come nostalgia per qualcosa di lontano che non riusciva nemmeno più a identificare. S’impose il controllo: non era il momento di lasciarsi andare alle reminiscenze di una vita perduta da tre secoli. Scartò diverse gelatine e le lasciò cadere per terra intorno a sé, ma di tanto in tanto una di esse finiva nella sua bocca, masticata con soddisfazione. Si alzò e girò tutto intorno alle due lapidi, disseminando caramelle ad ampio raggio e sentendosi parecchio idiota, poi tornò a sedersi e si accese una sigaretta, ma la spense subito, per paura che l’odore del tabacco coprisse quello dei dolcetti.
Per l’ora successiva non accadde assolutamente nulla.
Raistan si era coricato sulla lastra di marmo e si era lasciato scivolare nell’animazione sospesa, fissando il cielo stellato sopra di sé, sempre più convinto che quella missione non fosse altro che un’enorme perdita di tempo, quando avvertì qualcosa in movimento alla sua destra.
Fu quasi una sensazione inconscia, più che dettata dall’udito, eppure seppe con certezza che qualcosa lo stava osservando, da quella parte, e che conveniva muoversi con molta, molta cautela. Si rizzò a sedere lentamente e scartò un’altra caramella, pescandola dal sacchetto. Si mise anche a canticchiare e si costrinse a non voltarsi, non ancora. Sentiva un lieve fruscio sul terreno, un suono così leggero che orecchie umane non l’avrebbero nemmeno colto; in confronto, quello delle sue dita che aprivano l’ennesima gelatina, sembrava un boato. Adesso gli pareva che provenisse da dietro di sé, al di là della lapide alle sue spalle. Tutti i suoi sensi erano volti in quella direzione, i muscoli tesi allo spasimo: il suo istinto di predatore gli stava ordinando di reagire alla sensazione di minaccia che provava, ma lo mise a tacere. Quello che fece, fu scartare un’altra caramella e lasciarla cadere proprio accanto alla lapide; vide qualcosa di piccolo, bianco e fulmineo uscire allo scoperto e impossessarsene, per poi tornare a nascondersi dietro la pietra. Provò un involontario guizzo di meraviglia e di trionfo e ripeté l’operazione, sistemando la gelatina un po’ più in avanti, verso di sé. Questa volta, scorse un intero braccio sbucare da dietro la lapide e avventarsi con sicurezza sul dolcetto. Udì anche una risatina sommessa, ma per qualche motivo non gli piacque, lo fece pensare a cripte piene di topi; ripensò alle parole di Eric:
Pare che le fatine mordano
e fu attraversato da qualcosa che assomigliava troppo a un brivido.
Decise che quel gioco era durato abbastanza.
- Ehi…ehi, ciao…mi sono perso, c’è qualcuno che può aiutarmi? - disse, con il tono più dolce e rassicurante che gli riuscì di mettere insieme. - Ehi, là dietro…per favore, non so dove sono, ho paura, potete aiutarmi?
Sentì un’altra lieve risata, seguita da uno scalpiccio. Dovevano essere diverse, adesso, le sentiva anche parlare, ma non capiva quello che dicevano. Poi, all’improvviso, si ritrovò circondato dagli esseri più particolari e meravigliosi che avesse mai visto, tanto luminosi da costringerlo a strizzare gli occhi per riuscire a guardarli, e per qualche lungo istante non riuscì a muovere un muscolo.
Fece l’errore di respirare. Quando l’aroma che sprigionavano raggiunse le sue narici, dovette abbassare la testa di scatto per impedire loro di vedere la bava che aveva preso a colargli dalle labbra stirate in un ringhio. Provò una violenta sensazione di vertigine, poi il mondo esplose davanti ai suoi occhi in un lampo rosso.
CINQUE
Fu il trillo del suo cellulare a richiamarlo da quello strano stato in cui era precipitato; quando ritornò in sé, si ritrovò seduto per terra, imbrattato di sangue dalla testa ai piedi – e che sangue – circondato dai cadaveri rinsecchiti di almeno sei o sette creature dalle fattezze vagamente femminili. Era difficile dirlo, visto che c’erano pezzi sparsi nel raggio di parecchi metri. Il telefono continuava a suonare, lacerando come un grido il silenzio del cimitero. L’olandese balzò in piedi come una molla, con gli occhi che minacciavano di schizzargli dalle orbite da un momento all’altro e le mani nei capelli.
- Che cos’ho fatto? Che diavolo ho fatto? Oh cazzo, Eric mi ammazza! Raistan sei un coglione, non dovevi ucciderle, dovevi costringerle a portarti nel loro Regno, oh merda…
Si lasciò cadere in ginocchio accanto al corpo di una delle fate, la più integra che riuscì a trovare; la scosse, la sollevò tra le braccia, ma quando lo fece, la testa della creatura quasi si staccò, trattenuta solo da qualche sottile filamento di carne.
Il telefono continuava a suonare. Lo estrasse dalla tasca con una mano che tremava in modo incontrollabile, ricoperta da uno strato di sangue così spesso da assomigliare a un guanto, un guanto scarlatto; come previsto, sul display appariva il nome e il numero dello Sceriffo dell’Area 5, uno dei più temibili dell’intera America Settentrionale. Bel momento, per fare il Raistan, brutto idiota. Non poteva rispondere. Era fuori discussione. Spense il cellulare e se lo ricacciò in tasca, ma un imperioso richiamo mentale gli esplose nel cervello, strappandogli un gemito costernato.
Che diavolo stai combinando, Van Hoeck, va tutto bene?
Sì. Sì, tutto bene. È tutto a posto.
Perché non mi rispondevi al telefono? Che cazzo stai facendo? Per un po’ sei sparito dalle mie frequenze mentali.
Non so come mai. Va tutto bene, davvero. Devo andare, le fate sono qui attorno. (molto, qui attorno.)
Visualizzò nella mente una massiccia porta nera e chiuse fuori la voce di Northman, almeno per un po’, guardandosi intorno con aria stralunata. Adesso le aveva terrorizzate…non sarebbe più riuscito ad attirarne nemmeno una ed Eric lo avrebbe impalato. Già si vedeva, incatenato alla Giostrina degli Orrori nel suo scantinato…magari avrebbe permesso a Compton di restituirgli il favore…
Ebbe la tentazione fortissima di chiamare Richard, il suo collaboratore umano, farsi venire a prendere e schizzare all'aeroporto, per mettere qualche migliaio di miglia fra sé e il suo temporaneo datore di lavoro, ma il desiderio di salvare la propria reputazione prese il sopravvento e lo costrinse a calmarsi. Scorse una fossa scavata di fresco e iniziò a buttarvi dentro i cadaveri delle fate, pezzi compresi, guardandosi intorno con frenesia alla ricerca di arti o teste dimenticate; trovò anche una pala e la usò per ricoprire di terra i poveri corpi, poi si buttò carponi sul terreno e nascose anche le tracce di sangue, che in alcuni punti aveva creato vere e proprie pozzanghere. Infine abbassò gli occhi sulla t-shirt e inorridì, perché di bianco era rimasto ben poco ed era impregnata del loro odore, cosa che gli fece di nuovo salire la bava alla bocca. Se la strappò via di dosso e si rassegnò a restare a torso nudo. Non era molto più scuro del tessuto della maglia, in fondo. Doveva cambiare zona, ricominciare tutto da capo, ed erano già le tre del mattino.
L’imperativo primario era: non respirare. Per nessuna ragione al mondo.
Gliene bastava una. Una sola. Basta, fare il Raistan, basta, cazzeggiare con quelle stupide caramelle. Entro l’alba avrebbe trovato il suo tramite, o non si chiamava più Raistan Van Hoeck.
*
Successe intorno alle cinque, quando stava per arrendersi, terrorizzato alla prospettiva di riferire a Northman quello che aveva combinato. Quella era la fregatura del legame di sangue: non c’era modo di mentire, specie a un vampiro antico e potente come lui. Avrebbe rivoltato la sua mente come un calzino e avrebbe scoperto ogni più sordido dettaglio, compreso il fatto che avesse mangiato quasi tutte le gelatine in un impulso incontrollabile…un altro.
Si era lasciato cadere supino sull’ennesima tomba, coprendosi il volto con le mani, contemplando con mente fredda gli orribili supplizi che avrebbe dovuto sopportare, quando si era sentito sfiorare il petto da qualcosa di caldo e leggero. Aveva lentamente allontanato le mani dal viso e l’aveva vista. Una delle creature era lì, seduta accanto a lui, e gli stava accarezzando il torace con aria assorta. Era una donna…ma non lo era. Intanto era circondata da quella splendida aura luminosa, che gli rendeva impossibile non strizzare gli occhi; il suo volto era femminile e maschile allo stesso tempo, con strani occhi obliqui di un colore indefinibile e piccole orecchie a punta seminascoste dai capelli biondi e lunghissimi, che sfioravano il terreno. Era molto bella, dall’aria dolce e delicata, ma…Raistan non riusciva a guardarla senza provare anche un incomprensibile senso di repulsione e di pericolo.
- Che cosa ti è successo, piccolo mio? Ti sei perso?
Lui annuì, troppo teso per parlare. Il tocco della fata sul suo petto era quasi insopportabile, come se tutte le sue terminazioni nervose stessero reagendo a esso in maniera abnorme.
- Questo è un luogo pericoloso, per quelli come noi, non lo sai? Non dovresti stare qui da solo. Dimmi, hai ancora qualcuna di quelle deliziose caramelle? Ho visto che le mangiavi…
Raistan si schiarì la gola e sperò che la sua voce suonasse rassicurante come nelle sue intenzioni.
- Ne devo avere ancora due o tre in tasca…perché non le cerchi? - rispose, tenendosi sollevato sui gomiti per guardarla. La fata gli sorrise e insinuò una mano piccola e delicata nei suoi jeans; trovò le caramelle, ma parve più interessata a qualcos’altro, sotto la stoffa dei pantaloni; Raistan si lasciò sfuggire un gemito e chiuse gli occhi. Piccola puttana al neon, vediamo cosa sai fare…
- Vuoi accoppiarti con me? Le stelle sono favorevoli, stanotte - gli chiese, con voce flautata.
- Poi mi mostrerai la strada per tornare a casa? - disse lui, chiedendosi se sarebbe riuscito a non farla a pezzi, una volta che le avesse messo le mani addosso.
- Certo, ti porterò con me e staremo sempre insieme. Come ti chiami?
- Raistan. E tu?
- Lisbeth.
- Bene, Lisbeth. È davvero, davvero un piacere, conoscerti - le rispose, rivolgendole un sorriso zannuto d’inaudita malvagità. La fata si rese conto troppo tardi del proprio errore: tentò di alzarsi, ma il killer l’aveva già artigliata per un polso e tratta a sé, per poi sovrastarla con uno scatto fulmineo.
- Sei uno dei Neri! Sei uno di loro! Come hai fatto? Come sei riuscito a nascondere il tuo odore?
- Mi è bastato bere litri e litri del vostro sangue, carina, non siete poi tanto intelligenti. Adesso mi porterai dall’altra parte, sto cercando qualcuno e tu mi aiuterai a trovarlo. Prima però… - insinuò una mano sotto l’abito impalpabile della fata e salì fino all’inguine - Mmmm, sembra tutto a posto, bene, bene. Per rispondere alla tua domanda di poco fa, sì, voglio accoppiarmi con te.
- No, no, voi Neri non potete farlo con noi, è un sacrilegio! Non osare, vampiro, non osare, o chiamerò le mie sorelle e i miei fratelli e ti faranno a pezzi!
- Invece oso. L’ho fatto quasi con chiunque nella mia lunga vita, ma una fata mancava alla mia collezione.
Schiacciandola a terra sotto il suo notevole peso, Raistan usò una mano per abbassarsi i pantaloni sui fianchi, poi si fece largo tra le gambe della fata e la penetrò con rudezza. Si aspettava che urlasse, invece lei sollevò il bacino per accoglierlo ancora più in profondità, cosa che portò alle stelle la sua eccitazione. Si alzò sui gomiti per guardarla in faccia, confuso, e quello che vide lo terrorizzò e lo indusse a scostarsi con precipitazione, per lo meno a provarci. Stava accadendo qualcosa al viso della creatura. La pelle sembrava liquefarsi e poi riformarsi, le ossa al di sotto cambiavano posizione, strisciando; la bocca diventava sempre più larga e si riempiva di denti acuminati e ricurvi, gli occhi si dilatavano e lo fissavano, famelici. Il killer urlò e raddoppiò i suoi sforzi per liberarsi, ma la fata gli piantò le unghie nella schiena e lo avvinse con forza enorme, facendo scricchiolare le sue costole sotto un’immensa pressione, usando sia le gambe, avvolte attorno alla sua vita, che le braccia.
- Cosa c’è, Nero, non ti piace? Non ami più la tua Lisbeth? - gli sussurrò all’orecchio, con voce trasformata in quella di una vecchia. Raistan urlò di nuovo e affondò i denti alla base del collo della fata, vincendo il disgusto che avrebbe voluto fargliela scaraventare a metri di distanza. Questa volta fu lei a gridare e a conficcare ancora più in profondità gli artigli nella schiena dell’olandese.
- Lasciami, stronza. Lasciami subito, o ti squarcio la gola, lasciami!
Sono dentro di lei, sono dentro questo mostro schifoso, cazzo, cazzo, che schifo! continuava a pensare, come in un’ossessiva cantilena. Finalmente, la stretta delle gambe e delle braccia della fata si allentò, permettendogli di scostarsi. Cadde all’indietro, in preda al disgusto più grande che avesse mai provato, cercando di ricomporsi con gesti frenetici, ma fu costretto a slanciarsi di nuovo verso la fata che stava cercando di fuggire e la prese per una caviglia. Eppure, quando la creatura si voltò verso di lui, aveva di nuovo le sembianze di una ragazza graziosa e un po’ speciale. Sanguinava copiosamente dalla ferita al collo e cercava di divincolarsi, ma nulla avrebbe potuto far mollare la presa a Raistan. Non ora. Non dopo l’orribile esperienza appena passata. La trattenne, ma non poté impedirsi di piegarsi su se stesso e vomitare. Sentì la risata cristallina di Lisbeth e alzò lentamente la testa, intercettando il suo sguardo maligno e divertito.
- Ti diverti, mostro? Vedrai, prima della fine della serata mi divertirò anch’io. Adesso portami nel tuo covo, e fai che trovi alla svelta Sookie Stackhouse, o diventerai leggenda, come il resto della tua razza.
*
- E questo, che cazzo di posto sarebbe? - chiese Raistan alla fata, quando si fermarono davanti a una vecchia cappella dai muri scrostati per l’umidità. Aveva recuperato il suo cappotto e lo aveva indossato, trovando anche le manette con cui si era incatenato alla creatura che sanguinava a profusione e di tanto in tanto si afflosciava, costringendolo a sorreggerla. Non avrebbe voluto toccarla, non dopo aver visto le sue vere sembianze, ma non aveva scelta.
- È … è il varco… il passaggio per il nostro mondo… ti prego, Raistan… non farmi del male, e non farne alle mie sorelle…
- Non chiamarmi per nome. Non farlo. Forza, muoviti, e bada di aver detto la verità o te ne farò pentire.
La strattonò e la costrinse ad avanzare; la fata varcò la cigolante porticina di legno quasi marcito, premendosi la mano libera sulla ferita, e Raistan si abbassò per seguirla. L’interno era immerso nell’oscurità più completa, un buio così denso che nemmeno la sua vista soprannaturale riusciva a sondare. Estrasse una pistola dalla tasca del cappotto e caricò un colpo in canna, avanzando a piccoli passi esitanti nel nero davanti a sé. Sentì il respiro affannoso della fata trasformarsi in una specie di lungo sospiro di sollievo, poi precipitò con lei in quel buio infernale. L’ultimo pensiero razionale che ebbe fu: Northman non se la caverà con centomila pidocchiosi dollari; poi, per un po’, non pensò più a niente.
*
Il buio non era più così fitto, ora, anzi, la luce aumentava di secondo in secondo, mentre risaliva quella che gli sembrava un’interminabile rampa di scale. Temette di non riuscire a sopportarla e cercò tentoni nelle tasche gli occhiali neri, ma la fata sembrava riacquistare energia per ogni secondo che passava e saliva gli scalini di pietra bianca a due a due, trascinandoselo dietro come un cane al guinzaglio. Cercò di lanciarle un monito, ma la bocca gli si riempì di acqua. Solo in quel momento, si rese conto che la scala che si dipanava verso l’alto, apparentemente senza fine, era sommersa. L’acqua era così limpida che ci si accorgeva a stento della sua presenza. Temette per un istante di annegare, poi ricordò quello che era e aumentò anche lui il ritmo della sua ascesa.
Alla fine, dopo un tempo che gli parve eterno, la fata riemerse, e lui fece lo stesso, uscendo da quello che a prima vista sembrava uno stagno fatto di luce, adagiato su un prato di un verde così intenso da sembrare finto. Riconobbe il salice e una gigantesca magnolia, e capì che si trovavano ancora nel cimitero di Bon Temps, solo in un’altra…dimensione. Era un concetto talmente enorme da atterrirlo; preferiva non soffermarcisi troppo, così come non gli andava di pensare a quello che sarebbe successo se la popolazione locale avesse deciso di assumere le sue vere sembianze e lo avesse attaccato in massa. La paura donò nuova urgenza ai suoi movimenti e asprezza alla sua voce, quando si rivolse a Lisbeth.
- Dove sono le tue…sorelle? E, soprattutto, dov’è Sookie Stackhouse?
Il luogo, infatti, era completamente deserto, immerso in una strana luce dorata, come quella del sole al tramonto. Sole?
- Cazzo… - ringhiò Raistan, acquattandosi istintivamente e coprendosi la testa con le braccia, aspettando di sentire da un momento all’altro il bruciore del sole sulla pelle. Lo fece con un movimento così brusco, che la fata attaccata al suo polso barcollò e cadde ai suoi piedi, con uno squittio di protesta.
- Non brucerai, Nero. Non qui da noi… almeno per un po’. Per rispondere alle tue domande… le mie sorelle si sono nascoste. Hanno avvertito la mia sofferenza e hanno capito che cosa me l’ha provocata. Potrei dire che ti stanno aspettando, e hai visto quello di cui siamo capaci. Per quanto riguarda la tua Sookie… che cosa ti fa credere che ti concederò di trovarla?
Raistan avvicinò il viso a poche spanne da quello della fata. Aveva già constatato che la sua ferita sul collo era guarita, e pensò che il merito potesse essere del lago di luce da cui erano appena emersi. Asciutti.
- Per il semplice fatto che non è la mia Sookie. È di qualcuno molto più potente, antico e cattivo di me, che se mettesse piede in questo luogo, vi condannerebbe all’estinzione in una sola notte. E per curiosità, perché diavolo la state tenendo prigioniera? Cosa ve ne fate di una misera cameriera?
- Lei non è solo una cameriera. È una di noi, per metà, ma ha disonorato la sua razza intrattenendo rapporti…carnali con qualcuno di appartenente alla tua. Voi siete i nostri nemici mortali, è un’offesa troppo grande per essere perdonata. Deve pagare. E pagare duramente. Non tornerà mai più a casa…e non lo farai nemmeno tu, vampiro. Spero tu abbia salutato la luna, lassù, poco fa, perché era l’ultima volta che la vedevi.
La fata ridacchiò e accarezzò il viso di Raistan, che allontanò la sua mano con disgusto e l’abbrancò per la gola. Poi, da una delle tasche interne del suo cappotto, estrasse un rasoio e fece scattare all’esterno la lama d’argento, rivolgendo alla creatura un ghigno soddisfatto.
- Ora mi porterai dalla ragazza e non farai scherzi, o spellerò quel tuo muso schifoso e non ci sarà laghetto che tenga. È tutto chiaro? - sibilò all’orecchio di Lisbeth, traendola in piedi assieme a lui.
- Hai paura, vampiro, la posso sentire, e la sentiranno anche le mie sorelle e i miei fratelli. Fai bene ad averne. Quello che per noi è il Paradiso, per voi è l’Inferno…ci supplicherai infinite volte di ucciderti, ma non accadrà. Mai, mai, mai…per tutti i secoli dei secoli…
- Adesso mi hai proprio stufato - ringhiò Raistan e usò il rasoio per aprire uno squarcio sul viso della fata, che si gettò a terra, rischiando di trascinarlo con sé, si coprì il volto e lanciò uno strillo assordante, che costrinse anche lui ad abbassarsi sulle ginocchia e a tapparsi le orecchie con le mani. Era come se centinaia di chiodi stessero raschiando all’unisono una gigantesca lavagna. Serrò gli occhi e strinse i denti, poi si rese conto che, presto, tutte le fate del Regno sarebbero accorse in aiuto della loro sorella ferita e si costrinse a slanciarsi su di lei e a schiacciarla a terra, coprendole la bocca con una mano. Ansimava come un umano in preda al terrore; il sentimento che provava era proprio quello, inutile prendersi in giro.
- Zitta! Stai zitta, o giuro che ti squarcio la gola, zitta! - le sibilò, fissandola negli occhi inondati di lacrime. Lisbeth parve recepire il messaggio, perché tacque all’istante e annuì freneticamente.
Raistan si rialzò e la costrinse a fare lo stesso; si guardò intorno con sguardo stralunato, ma non vide nessuno. Non ancora. Eppure, così come si era accorto di loro nel cimitero, poche ore prima, percepiva la loro presenza tutto intorno a sé. Lo stavano osservando, ma per qualche motivo avevano scelto di rimandare il loro intervento.
Siamo troppo vicini alla via di fuga, al lago. Aspetteranno che mi addentri più in profondità nel loro territorio, e poi mi attaccheranno. Vaffanculo, Northman, mi hai messo proprio in un bel casino…
- Portami da lei. Di corsa.
La fata si avviò con lentezza attraverso il prato fiorito, con una mano premuta sulla guancia, piangendo sommessamente. Lui la strattonò con violenza e le fece quasi perdere l’equilibrio, attirandosi un ringhio che non aveva niente da invidiare ai suoi.
- Ho detto di corsa - ripeté, facendo roteare il rasoio fra le dita. La fata partì come un razzo e fu lui, questa volta, a essere strattonato in avanti, soffocando un’imprecazione. Riusciva a stento a stare al suo passo; affrontò salite, discese, bruschi cambi di direzione, cercando di memorizzare il percorso, immergendosi sempre più in profondità in un territorio che si faceva sempre più alieno per ogni minuto che passava. La vegetazione era fitta e intricata, costituita da piante che era sicuro di non avere mai visto in vita sua. Non c’entrava niente la Louisiana, quello era davvero un altro mondo. Capì che il praticello su cui si distendeva il laghetto altro non era che uno specchio per le allodole: voleva apparire rassicurante per indurre l’incauto visitatore a fermarsi, ma non poteva essere più lontano dalla realtà…vera. Quella era rappresentata dai rampicanti che gli si aggrappavano alle braccia e laceravano la pelle del suo cappotto con le loro spine, dalla nebbiolina azzurrognola che si levava dal terreno e dagli strani animali che incrociarono al loro passaggio, di cui ebbe solo una fugace visione, cosa di cui fu immensamente grato. La luce calda e dorata che avevano trovato all’arrivo si era trasformata in una spettrale luminescenza biancastra, come se il sole stesse cercando di filtrare attraverso uno spesso strato di bruma, ma non ci riuscisse.
- Quanto manca? - chiese a un certo punto. Gli sembrava di correre da ore e provava un angosciante senso di oppressione al petto, che la consapevolezza di aver perso l’orientamento rendeva ancora più pesante.
- Ci siamo quasi, Nero. Vicino a Sookie Stackhouse…e al tuo supplizio.
La voce con cui gli si rivolse la fata era di nuovo quella da vecchia; quando si voltò a guardarlo, lui si accorse che anche il suo aspetto era mutato. Si chiese, con crescente disperazione, chi fosse prigioniero di chi. La creatura sembrò percepire i suoi pensieri, perché scoppiò a ridere beffarda e aumentò ulteriormente l’andatura, portando le capacità soprannaturali dell’olandese al loro limite estremo. Il suo cappotto di pelle era a brandelli e il viso gli bruciava, tempestato da una miriade di graffi da cui il sangue colava in rivoli sottili. Quando iniziava a pensare di non farcela più, si accorse che la vegetazione si stava diradando e che qualcosa di un bianco abbagliante spiccava sullo sfondo. Una casa. Una minuscola casa candida. Non riuscì a non pensare alla casetta di marzapane della fiaba di Hansel e Gretel. Solo che non ci sarebbe stata soltanto una strega, ad aspettarlo, ma innumerevoli. Avrebbero avuto denti lunghi e affilati, più dei suoi e non avrebbero nemmeno dovuto darsi la pena di metterlo all’ingrasso: i suoi novanta e rotti chili le avrebbero sfamate per un bel po’.
Che cosa mangiano le fate? si chiese, con una nota d’isterismo nei pensieri.
- Carne, vampiro. Anche la vostra, di tanto in tanto. È un po’ amara, bisogna farla macerare per un po’, ma non è così male. Siamo arrivati. La tua amichetta è là dentro, ma non è in grado di camminare, e tu non sei più capace di ritrovare la strada. Non è così?
- Tu preoccupati di stare zitta, adesso, e seguimi senza fiatare.
Attraversarono lo spiazzo davanti alla casa e si appiattirono contro la parete intonacata di fresco. Raistan si passò il dorso della mano sul viso e lo ritrasse tutto sporco di sangue, poi si avvicinò alla finestra più vicina, tenendosi basso e si mise in ascolto. La fata era acquattata accanto a lui e lo stava fissando con espressione divertita, anche se l’enorme squarcio sulla sua guancia continuava a sanguinare. Raistan estrasse la chiave delle manette dalla tasca e la liberò: aveva bisogno di tutte e due le mani e il mostriciattolo non gli serviva più, non come appendice di se stesso. La guardò per un attimo, poi le sferrò un fulmineo e devastante pugno in pieno volto, che la fece stramazzare a terra tramortita, senza un gemito.
Aveva appena incominciato a rallegrarsene, quando dall’interno della casa gli giunse un grido agghiacciante ma umano, seguito da risate maligne, quasi infantili. Il killer sentì la pelle delle braccia incresparsi, percorsa da brividi molto poco vampireschi. Estrasse le sue affezionate Glock e si mosse fulmineo verso la porta, imponendosi di pensare a un’azione per volta, e una soltanto.
Si appiattì nuovamente contro il muro, chiuse gli occhi per un istante e decise che avrebbe fatto irruzione al tre.
Uno…due…
- Tre! - esclamò una voce, poi l’aria fu attraversata da un sibilo e Raistan urlò di dolore, perché una freccia gli aveva appena trapassato un braccio all’altezza del bicipite e lo aveva inchiodato al muro della casa. Davanti ai suoi occhi stralunati, si era appena materializzato un gruppetto di fate, femmine e maschi, in versione pre-lifting, e stava avanzando verso di lui. Sollevò la pistola e sparò molti colpi in rapida successione, ma un’altra freccia gli attraversò una coscia e la sua mira risultò alquanto imprecisa. Le creature risero, si scambiarono un’occhiata, poi scattarono verso di lui e gli si avventarono contro, straziandolo con le loro zanne e i loro artigli. Le sue gambe cedettero presto, ma la freccia gli impediva di accasciarsi al suolo e lo teneva appeso al muro, come un grottesco fantoccio insanguinato. Raistan sentiva urlare, ma solo in un secondo tempo si rese conto che le grida erano le sue. Stava scivolando alla velocità della luce verso l’incoscienza, e non era per niente una cosa negativa. Tutto avrebbe immaginato, tranne che diventare uno spuntino per fate. Quando sentì i denti di una delle creature affondare nella sua gola, capì che davvero, avrebbe dovuto salutare la luna, quella sera, ma fu colto dalla rabbia.
- Northman! - gorgogliò - Vaffanculo tu e la tua cameriera del cazzo!
Poi, la freccia che lo teneva inchiodato al muro per il braccio si spezzò e lui poté scivolare a terra e nell’oblio.
***
SEI
Brutto figlio di puttana, cosa ti è successo? Che cosa sta succedendo lì?
Eric camminava furiosamente su e giù, avanti e indietro, percorrendo tutto il perimetro dello scantinato a passi larghi.
24 ore. Quasi un giorno intero era passato, da quando aveva avuto notizie dell’Olandese l’ultima volta. Meglio per lui che avesse un motivo valido, o lo avrebbe impalato.
- Eric! Per favore, dimmi cosa sta succedendo. Mi stai spaventando. È successo qualcosa a Van Hoeck? – esclamò Pam, ancora in tenuta da dominatrix per la serata al Fangtasia.
Incatenato al suolo come un cane, Bill emise un suono che avrebbe potuto somigliare a una risatina sardonica, se non fosse stato così debole. Il collare e le catene, tutti rivestiti da argento purissimo, rendevano la cicatrizzazione delle sue ferite estremamente lunga e dolorosa.
- Le fate se lo stanno mangiando, vero, Eric? – biascicò in tono derisorio – Che smemorato… Mi sono… dimenticato di avvertirvi che le fate si nutrono di carne…
Eric si voltò di scatto e ringhiò rabbiosamente a zanne estese, per poi colpire con un calcio violentissimo Bill, che fu scaraventato contro la parete. Sarebbe finito ancora più lontano se il guinzaglio non l’avesse trattenuto. Pam trasalì. Non era abituata a vedere il suo Creatore abbandonarsi a esplosioni di ira così violente. Dalla morte di Godric, Eric sembrava aver perso la bussola.
- Chiudi quella fottuta bocca, Compton, o ti stacco le gambe e le braccia dal busto! – ringhiò, rivolto a Bill.
Bill gemette e cercò di rimettersi a sedere. Nonostante le sue pessime condizioni, continuava ad aver stampato sul volto quell’irritante sorrisetto di trionfo che non fece altro che mandare Eric ancora più in bestia.
- Che cos’hai da sorridere, sacco di sangue putrido che non sei altro? Quelle orrende creature hanno in pugno Sookie e tu te la ridi? – sibilò, stringendo gli occhi e piegandosi fino ad incontrare lo sguardo di Bill.
- Non capisci, idiota? Tu non salverai Sookie. Soltanto io ho il diritto di farlo. Sono l’unico che lei deve amare e rispettare. Lei mi appartiene e mi apparterrà per sempre, anche se per il momento crede di aver chiuso con me. Preferisco che muoia, e morire io stesso, piuttosto che vederla avvicinarsi a te e crederti il suo eroe.
Eric serrò la mascella e il pugno destro: poi lo sferrò contro la tempia di Bill, tramortendolo. Si sentì il crac del cranio di Compton che si fratturava sotto il colpo. Poco importava; si sarebbe rimarginato… prima o poi.
- Questo è per avermi chiamato idiota… idiota.
Si rimise in piedi e ricominciò la sua passeggiata isterica, affondando le mani nelle tasche dei jeans neri. Le rughe sulla sua fronte non erano mai state così profonde.
Pam sbuffò e incrociò le braccia.
- Master, parla. Per favore – disse seccamente. Sperò con tutto il cuore che Eric non la costringesse a supplicarlo.
… North…man…
Il pensiero era giunto debole e frammentato, ma era giunto. La telepatia fra i vampiri era molto diversa da quella che rendeva così speciale Sookie: perché funzionasse, doveva esserci un legame di sangue molto intenso, ed era necessario uno sforzo consapevole da entrambi i “lati”. Da circa mezz’ora, Eric non faceva che concentrarsi sulle frequenze mentali di Raistan senza risultati, tanto che oramai gli sembrava di avere un chiodo piantato nella fronte per lo sforzo.
Olandese? Olandese. Van Hoeck. Mi senti? Dimmi dove sei e verrò ad aiutarti.
Nel… loro mondo. Mi hanno preso. Mi…. hanno morso.
Morso? Bevono il tuo sangue?
No. Strappano le mie carni con i denti. Mi mangiano. Ora si sono addormentati, ma ricominceranno appena si svegliano e continueranno finché non sarò poltiglia. È finita, Eric. Missione fallita. Da’ un bacio a Shibeen da parte mia. Dille che mi dispiace.
Non fare il vigliacco, Raistan. Non è finito un bel nulla. C’è Sookie lì, da qualche parte?
C’è una ragazza. Bionda. La vedo, è proprio di fronte a me. L’hanno appesa per i polsi contro la parete. Northman, è nuda. È insanguinata dalla testa ai piedi. Credo l’abbiano stuprata parecchie volte.
Eric si irrigidì, bloccandosi nel punto in cui si trovava e spalancando gli occhi. Pam trattenne il fiato. Naturalmente, lei non poteva sentire il dialogo mentale che il suo Maker stava intrattenendo con il killer, ma ne percepiva con chiarezza i sentimenti: angoscia, impotenza e cupa disperazione. E molta, molta rabbia.
E ne hanno mangiato dei pezzi. Cristo, è una cosa disgustosa. Northman, se sopravvivo, giuro che ti prendo a calci.
Eric esplose in un ruggito, afferrò una delle catene appese alla Giostrina degli Orrori e la strappò in due come fosse stata di carta. Pam si avvicinò al suo fianco.
Dimmi dove. Dimmi dove si passa, e vengo a farli a pezzi tutti quanti.
- Eric!
- Zitta, Pam!
Dimmelo!
Nel cimitero di BonTemps. C’è una vecchia cappella, mezza ricoperta da rampicanti e schifezze varie. Devi entrarci. Ma non ce la farai. Io sono passato solo perché ho catturato una di loro e l’ho costretta ad aprire il varco. Non ce la farai…
Ce la farò, invece.
E con questo interruppe la comunicazione. Si voltò verso Pam.
- Devo andare a BonTemps. Ora – disse seccamente.
- A fare cosa?
- A riprendermi Sookie e quel buono a nulla di Van Hoeck.
- Nel mondo delle fate? – fece Pam, sgranando gli occhi.
- Esatto – rispose lui, avviandosi verso le scale.
- Vengo anch’io.
Eric si voltò e le rivolse uno sguardo severo.
- Scordatelo.
- Perché?
- Primo: non hai bevuto sangue di fata, quindi non passerai. Secondo: è troppo pericoloso e non voglio che ti succeda qualcosa.
- Non ti lascerò andare da solo – sancì Pam decisa. – Avrai bisogno di aiuto. Se quel bestione olandese è nei guai, vuol dire che potresti finirci anche tu e io… non ti lascio.
Allungò una mano e prese quella di Eric, stringendola nella sua.
- Permettimelo, ti prego. Berrò da te. Hai il sangue di Sookie nelle vene. Berrò anche da Compton, se necessario, anche se l’idea mi ripugna. Per favore.
Dopo un istante passato a fissarla negli occhi, Eric annuì. Le accarezzò con la mano una guancia e poi le porse il polso.
Pam rimase a fissare per un attimo le vene bluastre che si intravedevano sotto la pelle di marmo del suo maker. Ne era passato, di tempo, dall’ultima volta che lo aveva fatto. Quasi quasi non ne ricordava più il sapore.
Poi estrasse i canini e morse a fondo. Eric la avvicinò a sé e la strinse in un abbraccio, passandole una mano fra i capelli sciolti.
*
*
*
- Dov’è questa cappella? – chiese Pam. Dopo aver preso il sangue di Eric e quello di Bill – aveva fatto un sacco di facce schifate, mentre beveva, e questo aveva fatto quasi sorridere Eric – Pam si era messa in tuta perché “non voglio sporcarmi il mio completo”, aveva detto. Eric invece era rimasto così com’era, canotta e jeans d’ordinanza, e cosa importava se si fosse sporcato, aveva un armadio pieno zeppo di quella roba. E poi erano volati a BonTemps ed entrati nel cimitero.
- Qui, da qualche parte. Queste sono tutte normali tombe. Raistan ha detto di cercare una cappella coperta da vegetazione o cose del genere.
Pam annusò l’aria e riconobbe l’odore dell’Olandese, misto a qualcosa che non poteva essere altro che sentore di fata.
- Lo senti? – chiese a Eric.
- Eccome – rispose lui.
Si lanciarono entrambi nella stessa direzione e in pochi minuti trovarono la piccola cappella.
Eric esitò un attimo, poi spinse la microscopica porta in avanti.
Nulla.
Non c’era proprio nulla, nel piccolo vano ricoperto da muffa, ragnatele, polvere e foglie secche, e immerso nel buio. Eric tastò le pareti in lungo e in largo, cercando un varco, un’apertura, un meccanismo nascosto, un… qualcosa.
Nulla.
Dopo vari minuti, si arrese e tornò fuori. Scambiò un lungo sguardo con Pam, poi esalò un sospiro angosciato e si lasciò scivolare con la schiena lungo la piccola facciata in muratura della cappella, fino a sedersi in mezzo all’erba umida.
*
Raistan alternava momenti di coscienza ad altri di oblio. Le fate lo avevano buttato in un angolo e puntellato al pavimento con due grossi chiodi che gli trapassavano il palmo di ciascuna mano, costringendolo a rimanere in posizione supina. La ferita causata dalla freccia che lo aveva bloccato contro il muro per qualche attimo era sorprendentemente profonda e faceva un male cane. Peggio facevano i morsi delle schifose fate del cazzo. Ormai a Raistan mancavano interi pezzetti di costato; abbassando il mento, poteva vedere la sua stessa carne esposta e sanguinante. La cosa peggiore era che le fate sembravano avere bocche e denti infetti, velenosi: i loro morsi bruciavano come l’argento, come quelli dei licantropi… forse peggio. Ne aveva passate tante, Raistan, ma quella situazione stava scalando rapidamente la classifica dei 10 momenti più merdosi della sua vita da vampiro.
Le fate stavano dormendo, adesso. Si erano ingozzate per benino di carne umana e vampira e ora, da brave ingorde che erano, schiacciavano un pisolino, accoccolate su giacigli fatti di paglia. Nel sonno avevano riacquistato le sembianze graziose e ammalianti da Campanellino, sia maschi che femmine. Schifose bastarde.
Sollevò la testa e si guardò intorno. Il posto in cui si trovava sembrava una vecchia e polverosa stanza, disadorna e tappezzata da ragnatele. Un paio di piccole finestre dai vetri rotti lasciavano filtrare all’interno una luce giallastra come quella del tramonto: solo che la luce non cambiava e non sembrava mai calare.
Davanti a sé, appesa come in una crocifissione blasfema, c’era la ragazza, Sookie Stackhouse. Era incosciente. Raistan era sicuro che fosse ancora viva perché, nel silenzio, ne sentiva il debole battito cardiaco, ma era ridotta in condizioni pietose. Il corpo nudo recava i segni di innumerevoli morsi, concentrati soprattutto sulle parti più morbide: seni, inguine, cosce, ascelle. Persino una guancia era stata mangiucchiata. Il viso era poco visibile, piegato com’era sul petto e coperto dai capelli spettinati e sporchi di sangue. A Northman sarebbe venuto un accidente, a vederla così. Chissà se gli sarebbe ancora piaciuta.
Northman… Northman… hai trovato la cappella? Eric?!
Nessuna risposta; il collegamento si era interrotto. Probabilmente Eric era troppo furioso per concentrarsi sul legame mentale. Raistan sospirò di sconforto. Eric non sarebbe mai e poi mai riuscito a introdursi nella dimensione delle fate.
Provò a sciogliere i muscoli; i morsi lo avevano indebolito paurosamente, ma constatò che riusciva a muoversi e forse, con un po’ di sforzo e molto dolore, sarebbe riuscito a estirpare i chiodi dal suolo e a mettersi in piedi. Sì.
E poi? Per andare dove?
Mettersi a correre alla deriva per ritrovare il passaggio era un’opzione? Doveva provarci, a salvare la pellaccia.
Poi sarebbe tornato con Northman armato fino ai denti e avrebbe sterminato tutti quegli esseri schifosi, dal primo all’ultimo.
Okay, e la ragazza? Poteva lasciarla lì a morire?
Un movimento alla sua sinistra attirò la sua attenzione: una delle fate si stava stiracchiando con un gesto voluttuoso. Subito dopo i suoi compagni fecero lo stesso.
Cazzo, si stanno svegliando.
Raistan sentì il terrore impossessarsi di nuovo di lui. Se solo fosse riuscito ad allungarsi abbastanza da toccare con la punta del piede la Glock…
Le fate si guardarono e presero a occhieggiarlo e a ridacchiare malignamente, per poi bisbigliare fra loro in una lingua del tutto aliena.
- Ehi, voi – brontolò Raistan. – Non è educato parlarsi all’orecchio, sapete?
Le fatine esplosero all’unisono in una risata squillante. Questo provocò una reazione in Sookie, che ebbe un fremito, sollevò appena il mento e aprì gli occhi. Poi iniziò ad urlare. La sua espressione era quella di una creatura stravolta dall’orrore e Raistan provò, forse per la prima volta, un autentico senso di compassione per lei.
- Shhhttt. Ehi, ragazza. Sookie… calmati. Sono qui per aiutarti – sussurrò, ma lei sembrava sorda e cieca, tanto che non si era neppure accorta di lui che giaceva a qualche metro di distanza da lei.
Intanto, le fate avevano preso a danzare in cerchio tenendosi per mano, cantando e ridendo. Sembravano uscite da una pubblicità di assorbenti, o da un vecchio filmato di Woodstock. A vederle così, era ben difficile immaginare il marcio che c’era in loro.
Brutte puttane, vedrete come vi farò cantare, pensò Raistan, mentre le grida di Sookie continuavano a perforargli i timpani.
- Sta’ zitta, umana! Piantala di strillare come una gallina! – sbottò rivolto a Sookie. Lei, miracolo, cessò di urlare e piangere come se qualcuno avesse spento un interruttore.
- C-c-chi….ss-sei…tu? – mormorò con voce tremante.
Raistan sogghignò, soddisfatto che finalmente l’umana si fosse accorta della sua presenza.
- Un amico di un tuo amico.
- B-Bill?
- No. L’altro tuo amico.
- … Eric?
- Bingo, piccola. Mi ha mandato qui per riportarti a casa.
- Non… ci… credo…
- Meglio così, tanto non penso che riuscirò nell’impresa.
La conversazione fu interrotta dalle fate, che contemporaneamente smisero di danzare e cantare, ma non di ridacchiare. Li guardarono entrambi e parlottarono fra loro in quel loro modo odioso e poi iniziarono a denudarsi a vicenda. Ora erano in sei; tre maschi e tre femmine, fra cui la cara, vecchia Lisbeth, che si avvicinò a Raistan, ormai completamente nuda, sorridendo con aria soave.
- Vattene via, strega! Non osare toccarmi! – ringhiò lui, a canini scoperti.
Nel frattempo, le altre fate si stavano toccando a vicenda, in un groviglio di corpi nudi che ben presto si sarebbe trasformato in un’orgia in piena regola. Soltanto un maschio si era separato dal gruppo e ora si stava avvicinando a Sookie, che lo fissava con aria disperata, senza neppure urlare. Forse aveva terminato il fiato.
Raistan fece appena in tempo a vedere che la fata maschio le aveva sollevato entrambe le ginocchia per insinuarsi con il bacino in mezzo alle sue cosce, quando Lisbeth gli si piazzò a cavalcioni addosso, ostruendogli la visuale.
Il pianto di Sookie però si sentiva benissimo.
- Fanculo, puttana, non mi avrai – sibilò Raistan – Mi basta pensare alla tua vera faccia per farmelo rimanere moscio.
- Scommettiamo? – cinguettò la strega. Gli sbottonò i pantaloni e iniziò a strusciarglisi sopra con movenze sinuose, stringendosi le mani a coppa sui seni piccoli e appuntiti, e Raistan ebbe la sensazione di finire inghiottito dalle sabbie mobili. Odiava quella puttana, lo nauseava l’idea che dietro quel corpo liscio e perfetto si nascondesse una creatura dalla pelle squamosa e dalla peluria stopposa al posto dei capelli, e quegli orribili denti acuminati come tante piccole lance, oddio che schifo… a un pesce, ecco a cosa somigliava, ad un orribile piranha deforme… ma il suo pene ragionava per conto suo e stava reagendo in maniera drammaticamente entusiasta al mostro travestito da fata che lo stava cavalcando.
Si sentì travolgere da un senso di eccitazione viscido e angoscioso, mentre attorno a sé tutto girava. I miagolii di piacere di Lisbeth, i gemiti delle altre fate ora attorcigliate le une alle altre, il pianto e le grida di Sookie, tutto sembrava mescolarsi e diventare sfocato.
*
*
*
- Che noia – disse Pam, appollaiata su una lapide con le lunghe gambe accavallate. – E io che speravo in un bello scontro all’ultimo sangue. Se avessi saputo che sarebbe andata così, mi sarei portata l’ultimo numero di Vanity Fair. Dannazione.
Attese invano la risposta di Eric, che ormai da circa un’ora se ne stava accovacciato per terra con la schiena contro la cappella, le braccia appoggiate alle ginocchia e la testa inabissata fra esse.
Pam sospirò. Che strazio. Era come parlare al muro.
All’improvviso, la sua attenzione fu attirata da un bagliore che filtrava dagli stipiti della porta, ora chiusa, della cappella. All’inizio era perlaceo ed evanescente, ma nel giro di qualche istante si era fatto scintillante.
- Ehi! Eric, guarda!
Eric scattò in piedi e si voltò.
Il bagliore sparì. La porticina si spalancò e ne saltò fuori una donna minuta ma splendida, dai capelli lunghi e neri e gli occhi azzurri, vestita di bianco e con le orecchie a punta.
Eric snudò le zanne e in un attimo la agguantò al collo, mettendola spalle al muro contro il muro della cappella. Lei lanciò un unico grido, poi gli mise entrambe le mani sul braccio che la teneva bloccata e da esse si sprigionò una luce accecante, simile a un’esplosione, che spedì Eric a svariati metri di distanza.
Pam si mise in posizione d’attacco, digrignando i denti, e si preparò ad afferrare la fata. Emanava un odore squisito, inebriante… dolcissimo. Doveva provare ad assaggiarla a ogni costo.
Ma lei sollevò un palmo e parlò.
- Fermi, Neri. Non dovete combattermi, se volete rivedere Sookie.
Eric si rimise in piedi con un salto e in un attimo le fu di nuovo a pochi centimetri dal volto.
- Tu chi sei? – disse a bassa voce, digrignando i denti.
- Il mio nome è Claudine, e quello che voglio è esattamente quello che volete voi: salvare la vita di Sookie.
Eric emise un ringhio basso.
- Tu sei una fata, una di quelle che l’hanno rapita. Hai molto coraggio a tentare di ingannarmi, sai?
- No. Non siamo noi ad aver rapito Sookie – replicò lei, seria – Sono state le fate dell’acqua. Le stesse che uccisero i suoi genitori, quasi vent’anni fa. Vampiro, se la smetti di ringhiarmi contro, ti spiegherò come stanno le cose.
Eric si raddrizzò e assunse un’espressione neutra. Claudine gettò un’occhiata alle sue spalle.
- E ti prego di tenere a bada la tua progenie, che mi sembra risentire più di te del mio odore.
Eric guardò Pam con la coda dell’occhio.
- Stagbaksida, Pam. Som din tillverkare, Jag befaller dig.
[Pam, rimani indietro. Te lo ordino come tuo Creatore.]
Pam si bloccò, senza peraltro ritirare i canini.
Claudine riprese.
- C’è stato un sovvertimento, nel nostro mondo. Le fate dell’acqua hanno sconfitto le fate del cielo, di cui Sookie è una discendente. Ora è la Regina Mab a dettare legge. Le fate dell’acqua sono integraliste; odiano i mezzosangue e soprattutto quelli che intrattengono rapporti con i vampiri. Ritengono debbano essere sottoposti a tortura e sterminati; e Sookie è attualmente il bersaglio numero uno, perché intrattiene rapporti sessuali con quelli della vostra specie e secondo la loro visione sta sporcando il nostro sangue mescolandolo con il vostro. È stato il vampiro Bill ad attirarle, a raccontare loro tutto. Ho provato ad avvertirla… Ma loro hanno approfittato del suo momento di disperazione e debolezza e le hanno teso una trappola, assumendo le mie sembianze. Ho fallito. Avrei dovuto proteggerla, ma non ci sono riuscita – disse tristemente.
- Ora stiamo organizzando la resistenza, perciò non possiamo esporci. Tutto quello che posso fare è condurvi da lei, nient’altro. Se mi scoprono, mi massacreranno senza pietà. Mi dispiace. Combatterei al vostro fianco, ma non posso privare i miei fratelli del mio sostegno. Siamo rimasti in pochi, sapete.
- Non mi importa delle vostre beghe politiche, Fata – disse Eric, dopo aver ascoltato ogni parola in silenzio. – Tutto quello che voglio è passare attraverso quel dannato varco e trovare Sookie. Poi non avremo più bisogno di te.
- Siete armati?
- Non ce ne sarà bisogno – replicò Eric, mettendo in mostra i canini bianchi e acuminati.
- Sbagliate – ribatté Claudine, e sparì di colpo. Eric e Pam fecero appena in tempo a scambiarsi un’occhiata sorpresa, che lei riapparve stringendo in ciascuna mano una lunga spada dalla lama percorsa da sottili ghirigori simili a un ricamo. Le porse entrambe a Eric e Pam.
- Queste sono fatte di ferro. Il ferro è letale per noi, più di come l’argento lo è per voi. Fatene buon uso – spiegò, poi li invitò con la mano a seguirla e si introdusse nella cappella.
Eric e Pam fecero lo stesso.
Per alcuni secondi non accadde nulla.
Poi il pavimento sprofondò e si ritrovarono in piedi su una specie di scala a chiocciola che pareva spuntata dal nulla. La fata li precedeva. Scesero e scesero, solo per accorgersi che in realtà stavano salendo.
L’aria attorno a loro divenne acqua e iniziò ad illuminarsi di un chiarore dorato e sempre più brillante. Infine, emersero e si ritrovarono in pieno sole, al centro di uno stagno rotondo in mezzo a un paesaggio che sembrava dipinto da un pittore preraffaellita. Pam gridò e si coprì gli occhi con le mani, ma si rese conto ben presto che quel sole… Non era vero sole?
Eric sbatté le palpebre e si guardò le mani, incredulo.
- Qui da noi non si brucia – spiegò Claudine. – Questa è un’altra dimensione. Una dimensione in cui i vampiri non dovrebbero neppure esistere. Statemi dietro – aggiunse, e poi si lanciò in una corsa velocissima.
Eric scattò alla sua rincorsa, seguito immediatamente da Pam.
SETTE
Si ritrovarono di fronte a una piccola casa immersa nel verde, che sembrava uscita da un libro di favole. Il suo aspetto era grazioso e insieme sinistro.
Claudine si posò l’indice sulle labbra e si avvicinò a una delle finestre, dal vetro opaco e crepato.
- Loro sono qui – mormorò a voce bassissima – Ora dovrete cavarvela da soli. Salvate la piccola Sookie e riportatela nel mondo degli umani. Dopo che avrete fatto ciò, dimenticatemi. Nessuno di voi dovrà mai fare menzione dell’aiuto che vi ho dato. Le nostre specie sono nemiche dalla notte dei tempi e io stessa provo orrore nei vostri confronti.
- È un vero peccato – bisbigliò Eric, abbozzando un sorriso sardonico – perché scommetto che staresti davvero bene, appesa alle catene del mio scantinato.
La fata non batté ciglio.
- Un ultimo suggerimento, vampiro. Noi possiamo leggere nelle vostre menti, ma non abbiamo un udito estremamente sensibile. Ricordatevelo. Buona fortuna e… addio.
Così detto, si dileguò.
Eric si avvicinò ancora di più alla finestra e, appiattendosi con la schiena contro il muro, gettò un’occhiata furtiva attraverso il vetro. L’interno era immerso nell’oscurità, tanto che persino le sue pupille di vampiro, ben abituate al buio, impiegarono qualche secondo ad adattarsi, ingannate come erano dal chiarore accecante dell’esterno. La prima cosa che vide fu Raistan, sdraiato per terra e nudo dalla cintola in su; sembrava vigile e stava facendo forza per tirare le mani, inchiodate al suolo, verso l’alto. La sua bocca era contratta in una smorfia di dolore, ma non emetteva alcun suono. Poi vide un mucchio di corpi nudi ammassati gli uni sugli altri su un pagliericcio: erano le fate, e dovevano essere addormentate, a giudicare da come russavano.
Ad apparire per ultima nel suo campo visivo fu Sookie, ed Eric dovette deglutire quasi rumorosamente per ingoiare la rabbia che gli era divampata dentro. Sapeva già cosa aspettarsi, ma vederla con i suoi occhi ridotta in quelle condizioni lo sconvolse in un modo che non avrebbe mai previsto. Ebbe la prontezza di spirito di tuffarsi in ginocchio in modo da togliersela dalla visuale, altrimenti la furia lo avrebbe sopraffatto e sarebbe piombato nella casa ruggendo come un leone infuriato, facendosi catturare stupidamente.
Pam gli sfiorò una spalla, riportandolo alla lucidità.
- Ecco cosa faremo – bisbigliò lui – Entreremo e tu penserai a Raistan, per prima cosa. Avremo bisogno di lui per combattere, perciò tu gli darai il tuo sangue per risanarsi.
- Cosa? – sillabò Pam, interdetta.
- Sì. Io libererò Sookie, poi uccideremo quelle fate una ad una e ne berremo il sangue.
*
La porta d’ingresso era socchiusa.
Eric la sospinse lentamente, stando attento a non farla cigolare, e s’introdusse nella stanza buia con passo felpato e Pam alle spalle. L’ambiente odorava di sangue umano e vampiro, di sesso… l’idea lo disgustò enormemente e lo caricò di rabbia ancora maggiore… e di fata. Un odore travolgente e squisito, che mise sull’attenti ogni suo istinto più elementare.
Le fate dormivano beate, forse ubriache o semplicemente sfinite dall’orgia di carne e di sesso.
Scambiò uno sguardo eloquente con Pam, che si avvicinò a Raistan silenziosa come un gatto. Gettando uno sguardo sul suo torace, rabbrividì per un attimo: sembrava, in molti punti, ricoperto di carne macinata. Ma non lo era, era la sua stessa carne, maciullata da decine e decine di morsi profondi. Raistan la fissò dapprima incredulo, poi le rivolse un ampio sorriso che a lei parve davvero bello e la indusse a domandarsi come facesse a sorridere ancora, ridotto in condizioni così critiche. Lui non emise un suono; non era un idiota, evidentemente li aveva sentiti parlare e aveva capito al volo il piano.
Inginocchiatasi, Pam afferrò uno dei due chiodi che tenevano Raistan prigioniero e lo estrasse dalle assi di legno del pavimento senza fare alcun rumore; fortunatamente non era d’argento. Al secondo chiodo ci pensò Raistan stesso con la mano finalmente libera, con un gesto rabbioso e trionfante ma ugualmente silenzioso.
Pam si addentò il polso sinistro e lo mise davanti alla faccia di Raistan, che nel frattempo si era messo a sedere non senza qualche difficoltà e stava lentamente aprendo e chiudendo i pugni, per valutare la gravità delle ferite. Lui non esitò neppure un secondo: se lo portò alla bocca con entrambe le mani e iniziò a succhiare con avidità. Pam si lasciò sfuggire un ringhio soffocato.
- Questa me la pagherai cara – gli sillabò, quasi senza emettere alcun suono.
Per tutta risposta, lui le sbatté le ciglia un paio di volte, seduttivo, e succhiò con ancora più decisione.
Eric, intanto, si era avvicinato a Sookie. Lei era incosciente. Sembrava morta, se non fosse stato per il petto che si sollevava e si abbassava ritmicamente e il flebile palpitare del cuore, che le orecchie di Eric captarono senza difficoltà.
Le sfiorò una guancia, constatando con disgusto che l’avevano morsa anche lì. Poi le scostò i capelli dagli occhi con delicatezza. Il resto del suo corpo era ridotto a un colabrodo. Aveva fantasticato spesso su come potesse essere da nuda, ma questo, più che un sogno erotico, somigliava a un incubo. Decine e decine di morsi aperti e sanguinanti, su cui si contavano tutti i denti delle fate, la percorrevano da capo a piedi; impronte rosse di mani e piedi ovunque; graffi, tagli e scottature. Vedere la sua pelle, quella pelle che non aveva mai avuto la possibilità di accarezzare, violata e deturpata in quel modo, rischiò di fargli perdere il controllo. Ma resistette, facendo appello a tutta la freddezza che Godric gli aveva insegnato per mille anni. Con cautela, le passò un braccio attorno alla vita, stringendola a sé; poi sollevò la spada e segò di netto le corde che la tenevano appesa alla parete per i polsi, prima l’una, poi l’altra. Le braccia di Sookie ricaddero verso il basso con un piccolo tonfo sordo ed Eric s’irrigidì, serrando ancora di più la stretta sul suo corpo.
Una delle fate si agitò e borbottò qualcosa, ma non aprì gli occhi; si rigirò e continuò a ronfare placidamente.
Eric tirò un sospiro di sollievo mentale.
Si voltò verso il punto della stanza in cui si trovavano Raistan e Pam, tenendo ancora stretta Sookie, completamente incosciente, al suo petto. Loro lo guardarono a loro volta; Raistan si pulì la bocca con il dorso della mano e si alzò in piedi, offrendo l’altra mano a Pam, che la prese con aria sdegnosa e si alzò anche lei.
- Hmm... mm… – fece Sookie, rabbrividendo e sollevando le palpebre di qualche millimetro. Eric le tappò la bocca con la mano all’istante. Lei spalancò gli occhi, non appena si accorse di chi la stava tenendo stretta.
Lui le fece segno di tacere, poi avvicinò la bocca al suo orecchio.
- Sono qui per riportarti a casa – mormorò in un soffio appena udibile. - Ora ti metto giù. Chiudi gli occhi e non guardare né aprire bocca, per nessun motivo, qualsiasi cosa sentirai. Andrà tutto bene. Te lo prometto.
Poi rialzò il viso e la guardò in faccia per assicurarsi che avesse capito. Lei lo fissò di rimando con gli occhi sbarrati e annuì debolmente.
Eric la depositò delicatamente nell’angolo della stanza più vicino alla finestra e più lontano dal giaciglio delle fate, e lei vi si rannicchiò stringendo le ginocchia contro il petto, senza però chiudere gli occhi; poi fece un cenno con testa in direzione di Raistan e Pam.
Insieme, si avvicinarono tutti e tre alle fate dormienti. Erano avvinghiate le une alle altre, maschi e femmine, tanto che era difficile stabilire con certezza quante fossero.
Eric sollevò l’elsa della spada che Claudine gli aveva dato e poi, bruscamente, calò la lama verso il basso con precisione, infilzando la gola di una delle fate.
La fata sbarrò gli occhi fino a farseli quasi uscire dalle orbite, spalancò la bocca ed emise un unico urlo stridulo, straziante e penetrante come una miriade di gessetti su una lavagna. L’istante dopo la sua pelle si raggrinzì, come se qualcuno le avesse succhiato via ogni goccia di linfa vitale, e lei ricadde pesantemente sulla schiena, trasformatasi in qualcosa di simile a una mummia ripugnante.
Nello stesso momento in cui l’urlo della fata si era spento, le altre erano balzate su e avevano iniziato a gridare come strigi.
Nella stanza buia e polverosa si scatenò l’inferno.
*
Raistan si era rimesso in piedi a fatica; il sangue di Pam l’aveva aiutato a rimarginare più in fretta le ferite inflitte dalle frecce e dai chiodi nei palmi delle mani, ma l’effetto dei morsi delle fate non accennava a spegnersi e lo faceva sentire debole e in preda alla nausea. In più, i terribili momenti che aveva passato prima dell’insperato intervento del vichingo e di Pam lo ossessionavano, costringendolo a chiudere la mente con uno sforzo consapevole, per evitare che i suoi alleati ne venissero a conoscenza. Non voleva. Odiava ogni singolo istante di quell’esperienza e non desiderava la loro compassione, né la loro solidarietà. Non ne aveva bisogno. Aveva sempre gestito il proprio inferno da solo, di qualunque tipo si trattasse. Le sedute terapeutiche di gruppo le lasciava volentieri a quelle pappamolle di umani. Strappò senza tante cerimonie la spada dalle mani di Pam, che reagì con un “Ehi!” indignato, ma scelse di tacere dopo aver visto l’espressione minacciosa del killer.
- Senza offesa, donna, ma questo è il mio mestiere. Vai a tenere compagnia all’umana laggiù, fammi il favore - ringhiò, brandendo la spada con due mani.
- Van Hoeck, bada a come parli a mia figlia. È un’ottima combattente, le ho insegnato io - gli rispose Eric, fronteggiando la prima fata, in piena trasformazione, che uscì dal gruppo e gli si avventò contro, ma riuscì soltanto a farsi decapitare. Le altre, acquattate in massa, a ringhiare all’indirizzo dei loro assalitori, parvero esitare.
- Quella a sinistra è mia - sibilò l’olandese, quando riconobbe Lisbeth. Ricevette in cambio una risata beffarda: - Credete di riuscire a uscire di qua? Le nostre sorelle e i nostri fratelli là fuori stanno arrivando, sono decine, vi faranno a brandelli, proprio come stavamo facendo con te, Nero. Sapevi un gusto interessante, non vedo l’ora di riassaggiarti…e succederà, credimi.
- Non in questa vita - disse Raistan, e prese a far ruotare fra le mani la spada a una velocità impensabile per qualsiasi essere umano, fino a quando, con un grido selvaggio, si slanciò in avanti e attaccò il branco di creature, seguito a ruota dal vichingo, sul cui viso si era impresso un sorriso carico di aspettativa e di ferocia. Le fate risposero con altrettanta furia e si avventarono in massa contro i due vampiri, sibilando e ruggendo.
Pam, relegata in un angolo al ruolo di riserva, non poté evitare di osservare ammirata l’eleganza dei due compagni, fino a quando non fu costretta a intervenire per staccare a forza una delle creature dalle spalle dell’olandese, scaraventandola al suolo, azzannandola alla gola e ricevendo una sua fulminea occhiata di riconoscenza. Il legame di sangue le permise di captare anche alcune immagini provenienti dalla sua mente, e allora vide. Vide e s’immobilizzò al centro della stanza, del tutto dimentica di quello che stava succedendo attorno a lei. Percepì l’orrore provato da Raistan quando la fata chiamata Lisbeth lo aveva costretto a soddisfarla, che aumentò a livelli a stento sopportabili quando tutte le femmine, in massa, lo avevano sovrastato pretendendo da lui la stessa cosa, per ore e ore, strappandogli di tanto in tanto pezzi di carne dal costato e dalle spalle, ridendo dei suoi lamenti e del suo disgusto; vide anche Sookie attraverso i suoi occhi, circondata dai maschi, e sentì la sfida che Raistan aveva lanciato loro in un momento imprecisato di quell’incubo, quando si era accorto che la ragazza non avrebbe resistito ancora a lungo e che le sue grida testimoniavano la follia ormai incombente. - Perché non ve la prendete con qualcuno di più grosso? - aveva ringhiato il killer, alzando la testa per intercettare il loro sguardo. I maschi non se l’erano fatto dire due volte e si erano diretti su di lui a passo tranquillo, i bellissimi volti distorti nella trasformazione.
- Hai ragione, sai. C’è abbastanza di te da saziarci tutti… - aveva risposto uno di loro, chinandosi su di lui e azzannandolo una prima volta al ventre. Si era risollevato stringendo un pezzo di carne fra i denti, poi, con un cenno, aveva invitato i compagni e le compagne a fare lo stesso ed era stato un ribollire di arti, bocche e capelli ad affollarsi su di lui, che stringeva le mascelle e fissava il soffitto scrostato sopra di sé, un unico pensiero, quasi una supplica rivolta a se stesso: Non gridare… non gridare…
- Esci dalla mia testa, stronza.
Pam ebbe quasi la sensazione di precipitare e si ritrovò a fissare il volto furioso di Raistan, che la stava guardando come se volesse sbranarla da un momento all’altro. Trasalì e abbassò gli occhi di scatto, cosa che le succedeva molto, molto raramente. Nella stanza era rimasta viva soltanto Lisbeth, acquattata nell’angolo più lontano; le altre fate, maschi e femmine, giacevano al suolo a vari stadi di smembramento.
Eric sembrava molto soddisfatto dell’esito dello scontro, ma rivolse a sua volta un’occhiata perplessa ai due compagni, per poi lasciar cadere la spada e precipitarsi su Sookie, rintanata accanto alla parete con uno sguardo del tutto assente negli occhi.
- È tutta tua, Olandese. E non chiamare Pam stronza.
- È una ficcanaso insopportabile. Non mi piace - disse lui, alternando lo sguardo tra Pam e la fata.
- Allora impara a chiudere meglio quella tua mente bacata! - urlò la vampira, più scossa di quanto non supponesse lei stessa. Un attimo dopo si ritrovò incollata al muro, con la punta della spada premuta sotto il mento e gli occhi stralunati di Raistan a pochi centimetri dai suoi.
- Qualcuno ti deve davvero insegnare l’educazione, inglesina. A quanto pare, il tuo maker non ha le palle per farlo.
Fu l’ultima cosa che riuscì a dire, prima di ritrovarsi a terra, con i denti di Eric conficcati in gola e la spada puntata al centro del torace.
- Questa non avresti dovuto dirla, Olandese! - ruggì il vichingo. Raistan tentò di staccarselo di dosso, ruggendo di rimando, ma si rese ben presto conto che le sue forze, pur notevoli, non erano paragonabili a quelle di un vampiro millenario, a quel grado d’incazzatura. Lasciò cadere la propria spada e chiuse gli occhi, restando immobile.
- Eric, no! - urlò Pam, raggiungendoli e cingendo in un abbraccio il proprio creatore.
- Perché no? È uno stronzo e non è nemmeno un granché come killer.
- Perché…
- Zitta! Non ho bisogno del tuo aiuto! - urlò Raistan, senza riuscire a muoversi.
- …ha attirato le fate su di sé, per impedire che mangiassero Sookie. Guardalo, Eric.
Il vichingo si staccò dal collo dell’olandese e abbassò gli occhi sul suo corpo. Vide l’infinita serie di morsi che gli tempestavano il torso e le spalle, e la sua rabbia si affievolì un tantino.
Gli ruggì in faccia, tanto per rimarcare la propria superiorità, ma Raistan non reagì in nessun modo. Sembrava esausto, e di sicuro lo era.
- La fata! È scappata! - urlò Pam, riscuotendoli entrambi dalla loro empasse. Si voltarono, solo per costatare che la vampira aveva ragione. Poi, la casa parve vibrare sulle sue stesse fondamenta; attraverso i vetri sporchi, Eric, Raistan e Pam si accorsero che all’esterno innumerevoli visi mostruosi si affollavano presso le finestre, ghignanti e sbavanti.
Sono arrivati i rinforzi, temo - disse Pam, poi la porta implose in una miriade di schegge e l’esercito di creature fece irruzione all’interno.
- Cazzo – esclamò Raistan.
- Oh, Gesù santissimo – fece Pam. Raistan la guardò sorpreso.
- Qui! – urlò Eric lanciandosi con un paio di balzi felini nell’angolo in cui Sookie se ne stava rannicchiata e tremante, con le mani a coprire le orecchie. In quello stesso istante, infatti, almeno una trentina di fate trasformate in mostri squamosi stava dilagando nella stanza attraverso la piccola porta completamente divelta.
OTTO
Pam e Raistan raggiunsero Eric nell’angolo e si misero acquattati in posizione d’attacco, Pam con la spada sollevata davanti a sé, Raistan senz’altra arma che le mani e le zanne.
Eric allargò braccia e gambe e strinse l’elsa della spada nel pugno destro fin quasi a farsi schizzare i tendini fuori dalla pelle. Con la coda dell’occhio intercettò lo sguardo sbarrato di Sookie, che fino ad allora non aveva quasi fiatato, a parte piangere sommessamente e lanciare qualche breve grido.
- Eric – disse lei, soltanto.
Lui si voltò a guardarla, mentre la frotta di fate-mostro avanzava accerchiandoli sempre di più, producendo una sorta di stridio assordante, come un migliaio di cicale inferocite.
- Per… favore…. uccidimi – aggiunse lei, con una voce distorta e resa irriconoscibile dalla sofferenza, dalla paura e dalle ferite alla bocca e alla gola. – Non… lasciare… che mi… prendano di nuovo…
- Nessuno ti torcerà più un capello. Fidati – replicò lui; poi fu costretto a distogliere lo sguardo da lei per fronteggiare le fate.
Queste, come rispondendo a un segnale silenzioso, lanciarono un urlo stridente all’unisono e scattarono tutte in avanti, come tanti piccoli soldatini telecomandati, spalancando le loro bocche voraci molto più di quanto le normali leggi della fisica avrebbero potuto permettere. A Eric parvero strani pesci repellenti.
Nel giro di una frazione di secondo, Pam, Eric e Raistan si ritrovarono con addosso almeno tre, quattro fate ciascuno. Eric ne infilzò subito un paio con la spada, scacciando le altre con pugni e calci violenti; lo stesso stava facendo Pam. Raistan, sprovvisto di arma, se la stava passando peggio. Tre fate si erano attaccate con le bocche alle sue gambe, altre tre o quattro cercavano di azzannargli le braccia e altre ancora si stavano accalcando su di lui, armate di piccoli pugnali d’argento; lui ne aveva già uccisa una strappandole la testa e ora ne stava mordendo alla cieca un’altra, ma non riusciva a scrollarsi le restanti di dosso, che sembravano essersi incollate a lui come carta moschicida.
Eric sventagliò la spada davanti a sé in un paio di fendenti micidiali che aprirono letteralmente a metà tre fate tutte insieme, come fossero state di burro, poi urlò a gran voce il nome di Raistan e gli lanciò la spada, che l’Olandese agguantò all’altezza dell’elsa con una velocità e una maestria dettate da decenni e decenni di allenamenti e battaglie furibonde. La usò per vibrare un colpo che raggiunse in pieno petto una fata, il cui corpo si raggrinzì all’istante, e un altro che ne decapitò una seconda, sprizzando tutt’intorno un fiotto di sangue denso e violaceo che lo inondò per buona parte.
Pam si difendeva con altrettanta ferocia, usando la spada con precisione chirurgica e mordendo spietatamente ogni volta che una mano o un piede squamoso le capitava a portata di bocca. Una fata alta non più di un bambino di sette anni le si avventò contro prima che riuscisse a farsi scudo e la addentò alla spalla sinistra, avvinghiandosi a lei come una pianta rampicante carnivora. Urlò e la sua reazione immediata fu mollare la spada e agguantare il piccolo mostro con entrambe le mani per cercare di scrollarselo di dosso; quest’ultimo, invece, non fece altro che addentare più a fondo, scavando nella pelle di Pam con gli artigli. Raistan la vide e, spazzata via una fata con un fendente, infilzò l’assalitrice di Pam con uno scatto del braccio, per poi sfilare il corpo inerte dalla lama con un calcio.
- Grazie – gracchiò Pam, scattando a terra per recuperare la spada che una delle fate stava già tentando di scippare.
- Di niente - bofonchiò Raistan, senza nemmeno guardarla, ma lo stridore delle fate coprì in parte la risposta.
I tre vampiri avevano formato una sorta di semicerchio davanti a Sookie, ben sapendo che se lei fosse stata attaccata, non l’avrebbe scampata, già ridotta in fin di vita com’era.
Eric, rimasto senza spada, era già ricoperto di morsi sanguinanti. Si rese conto che essi non si rimarginavano in fretta come avrebbero dovuto e che bruciavano in modo infernale, ma s’impose di non badare al dolore e di continuare a combattere. Difendendosi con le mani, i piedi e i denti, aveva ucciso già un buon numero di fate, quando un gruppetto lo assalì nello stesso momento, coprendogli persino la visuale. Ruggì, furioso. Sentì un fischio.
- Eric!
La spada, proveniente da Raistan, arrivò roteando vorticosamente su se stessa e Eric la afferrò al volo individuandola soltanto grazie al sibilo che produceva. Con un volteggio della mano, spazzò via le sue assalitrici, svuotando in un attimo lo spazio attorno a sé in un’esplosione di sangue.
Le fate erano ormai rimaste in poche e iniziarono ad arretrare lentamente in mezzo al cimitero di monconi insanguinati in cui si era trasformato il pavimento della stanza.
Pam teneva premuta una mano contro la spalla sinistra, offesa dal morso. La sua bocca grondava sangue e filamenti di carne.
Eric finì una fata e con un balzo ne assalì un’altra che tentava di darsela a gambe, piombandole addosso con tutto il suo peso e costringendola a terra tra le ginocchia. Decise di togliersi lo sfizio di ucciderla mordendola al collo, anziché con la spada. Lo fece con lentezza, dato che oramai le tre, quattro fate rimaste non rappresentavano più un pericolo, e succhiò a fondo il nettare denso e zuccheroso che usciva dalla sua gola mentre lei strillava e si agitava sempre più debolmente. La prosciugò fino all’ultima goccia e poi rialzò il volto con un ringhio gutturale, di furia e di primitiva soddisfazione insieme. Poi guardò Sookie, che era rimasta appallottolata nell’angolo e lo stava guardando a sua volta. Si rialzò, tentò di ripulirsi il mento come meglio poteva e si avvicinò a lei.
Raistan, frattanto, stava braccando Lisbeth, facendo volteggiare la spada da una mano all’altra con sadismo. Lei si era stupidamente messa all’angolo da sola e lui esplose in una risata acida, avvicinandosi sempre di più a lei. Lisbeth arretrò finendo con le spalle al muro.
- Ti prego, Raistan… Non farmi del male – squittì lei.
- Ti prego… ti prego… Non conosco il significato di queste parole, sai? Sei stata molto stupida, a tornare – sibilò lui con un ghigno, agguantandola per la gola. Vide la sua faccia e il suo corpo palpitare e ritrasformarsi, da anfibio vorace e squamoso a fanciulla nuda e delicata come un fiore.
- Ti supplico… risparmiami – piagnucolò – Sono io, la tua Lisbeth…
- Trucchetto molto, molto infelice – fece Raistan, e le piantò la lama della spada in mezzo alle gambe, impalandola. Lei lanciò un urlo rauco e si irrigidì, ma non era ancora morta. Sempre tenendola inchiodata alla parete con una mano sul collo, estrasse di scatto la spada, la lasciò cadere a terra e insinuò la mano ora libera tra le sue cosce, palpandola. La ritrasse zuppa di sangue.
La fata lanciò una serie di lamenti stridenti come un uccello rapace e tentò di liberarsi, ma Raistan la scaraventò per terra e le saltò addosso, mordendola prima laddove la spada l’aveva penetrata, poi sulla pancia e infine alla giugulare.
E quella fu la fine della fata chiamata Lisbeth.
*
Sookie rimase a fissare Eric che, coperto di sangue e segnato da una serie di morsi a forma di mezzaluna, stava avanzando verso di lei. Quando lui le fu più vicino, lei si ritrasse ancora più su se stessa, come un piccolo gatto terrorizzato.
Eric si accovacciò, consapevole di dover fare i conti con un’umana in gravissimo stato di shock. Non era esattamente il massimo nel blandire gli umani spaventati, ma decise che quello era un buon momento per esercitarsi. Del resto, le ultime fate se l’erano data a gambe e un nuovo contingente sarebbe potuto irrompere da un momento all’altro: bisognava scappare e… presto.
- Sookie… Va tutto bene. È finita – disse, con voce tranquilla, tendendole la mano.
Lei tremava e guardò la mano tesa con occhi sbarrati, ma dopo qualche istante il suo viso parve rilassarsi. Molto lentamente, quasi a malincuore, la sua mano destra si staccò dalla palla che il suo corpo aveva formato e si mosse in avanti fino ad incontrare quella, molto più grande, di Eric.
È fredda, pensò lui toccandola Fredda quasi come la mia.
Con cautela, si portò ancora più vicino, stringendo la mano di Sookie nella sua. Con l’altra le scostò i capelli, scoprendo il viso ferito e sporco, gonfio in diversi punti.
- Pam – disse, senza distogliere lo sguardo da quello di Sookie, quasi sperando di poterla ammaliare con il glamour – Trova qualcosa con cui coprirla.
Pam si guardò attorno e vide, in un cantuccio, tutta accartocciata, una giacca di pelle nera molto lunga e molto familiare.
- Ehi, Olandese. Ti disturba se prendo in prestito il tuo soprabito?
Raistan sollevò la bocca dal corpo esanime di Lisbeth.
- Va bene, però non rovinarmelo, inglesina – replicò con un sorriso.
- Come se non fosse già ridotto a uno straccio – ribatté lei, porgendolo ad Eric; lui lo prese, lo aprì e lo avvolse intorno a Sookie.
Farla alzare si rivelò più difficile. Sembrava aver perso il controllo del suo corpo e si rifiutava di sciogliersi dalla posizione rannicchiata in cui si trovava. Eric dovette fare forza, per allargarle le braccia e infilarle nelle maniche del cappotto.
- E smettetela di guardare, ci state mettendo in imbarazzo – esclamò all’improvviso, accortosi che Raistan e Pam stavano osservando la manovra con grande interesse. Raistan si girò dall’altra parte e iniziò a fischiettare con finta indifferenza.
Alla fine Eric riuscì a insinuare le mani attorno a Sookie e a sollevarla fra le braccia, avvolta nel cappotto di Raistan come in un bozzolo. Guardò i suoi due compagni.
- Filiamocela – disse.
Mentre si lanciavano di corsa fuori dall’infernale casetta di marzapane, Raistan si fermò un attimo, tornò dentro per recuperare entrambe le spade e corse di nuovo fuori.
*
Corsero più veloce che potevano, attraversando boschi, colline e piccoli torrenti, seguendo a istinto le tracce che loro stessi avevano lasciato quando erano arrivati.
Finalmente si ritrovarono a pochi passi dal piccolo specchio d’acqua che costituiva il passaggio, coronato dalla scritta “BonTemps Cemetery” e circondato da salici e magnolie simili al suo corrispondente terreno. Eric continuava a sorreggere Sookie, cosciente a intermittenza, tra le braccia.
- Ok. E ora? – esclamò Raistan, mani strette intorno alle else delle spade, avvicinandosi all’acqua e osservando il suo riflesso. Era impiastricciato di sangue e lo erano anche i lunghi capelli biondi, che ora avevano assunto un’inquietante tonalità rossastra. – Ci tuffiamo e sguazziamo finché non ci ritroviamo dall’altra parte?
Pam guardò Eric.
- Onestamente – rispose lui – non ne ho la minima idea.
Di scatto si voltarono tutti e tre.
Avevano tutti sentito la stessa cosa: uno scricchiolio sospetto proveniente dai cespugli dietro di loro.
NOVE
La vegetazione alle loro spalle prese a vibrare e a oscillare come scossa da un vento fortissimo, poi una moltitudine di fate irruppe sullo spiazzo davanti al laghetto.
- Ma quante diavolo sono, queste puttane? - ringhiò Raistan, allungando una delle spade a Pam, accanto a sé. Eric, con Sookie fra le braccia, si guardava attorno frenetico, sapendo che non avrebbe potuto combattere, con la ragazza abbarbicata al suo collo come a un’ancora di salvezza. Poi, dal lago alle sue spalle, emersero forti braccia che lo arpionarono per le gambe e lo trascinarono verso l’acqua. Il vichingo perse l’equilibrio e cadde all’indietro, finendo sommerso assieme a Sookie, che emise soltanto un gemito sfiatato, prima di scomparire sott’acqua con lui.
- Eric! - urlò Pam, accorgendosi di quello che stava succedendo, ma senza poter intervenire; le fate sulla terraferma li avevano assaliti e a differenza delle precedenti, erano armate di archi e piccoli pugnali ricurvi, così lucenti da non poter essere di nessun altro materiale, se non d’argento.
Raistan mulinava la spada quasi alla cieca, seminando la morte tra le file delle creature; di tanto in tanto, una di loro riusciva a raggiungerlo e lo assaliva ringhiando, ma lui se le scrollava via di dosso come un grosso cane con le sue pulci. Sanguinava da innumerevoli ferite su tutto il corpo, ma sembrava non accorgersene e colpiva, colpiva, colpiva, le labbra stirate in un ghigno feroce.
- Van Hoeck… Eric è… - balbettò la vampira.
- Ho visto - le rispose lui, poi, approfittando di un momento di esitazione dei loro avversari, la afferrò per un polso e la trascinò con sé nel lago.
S’immersero, guardandosi intorno nell’acqua gelida; sotto di loro, scorsero il vichingo che si dibatteva furiosamente per liberarsi dalla presa delle fate, con Sookie ancora aggrappata al collo, chiaramente a corto d’aria. Raistan nuotò veloce fino a lei, l’abbrancò per un braccio e tirò per farle mollare la presa dal collo di Eric, ma la ragazza reagì artigliandolo con forza ancora maggiore, persa nel panico che la rendeva del tutto irrazionale. Non avrebbe resistito ancora a lungo, prima o poi sarebbe annegata e tutto quel casino sarebbe stato inutile. Stupida, stupida umana!
Qualcosa di viscido e incredibilmente forte si avviluppò attorno alla gola dell’Olandese, poi un terribile dolore gli si diffuse dalla base del collo in tutto il corpo. Una fata maschio, enorme, lo aveva appena trafitto con il suo pugnale. Aprì la bocca per urlare, ma ingoiò acqua gelata e la staffilata di dolore si rinnovò, almeno fino a quando riuscì ad abbrancare la testa della creatura e a staccargliela dal busto.
Non ce la faremo mai, ci trascineranno sempre più a fondo…. sempre più a fondo… non avremo nemmeno la consolazione di morire affogati, non noi, fluttueremo quaggiù per sempre….
Rivolse lo sguardo verso l’alto e si accorse che la luce si allontanava sempre di più, assieme alla speranza. Eric era sotto di lui, impotente, Pam non si vedeva più e non c’era traccia della scalinata che li aveva condotti nel regno di quelle creature da incubo. Bella missione del cazzo. Innumerevoli mani si erano aggrappate alle sue gambe; la sua, di mano, restava avvolta con tenacia al braccio di Sookie, che ora si stava contorcendo nel panico causato dall’asfissia. I loro occhi s’incontrarono per un istante, poi un incredibile lampo bianco esplose nello spazio che li separava, annullando la coscienza del killer, ma anche la sua rabbia e la sua paura.
*
- Ehi. Van Hoeck, ci sei?
Raistan spalancò gli occhi e si alzò a sedere di scatto, cercando la spada accanto a sé, guidato dal puro istinto.
- Calma. Siamo fuori. Guarda - gli disse Eric, seduto nell’erba accanto a lui, con Sookie tra le braccia. La ragazza era sveglia e vigile e per la prima volta lo guardava come se si rendesse davvero conto di quello che vedeva. Più che altro, però, guardava il vichingo e sembrava non volersi più staccare dal suo abbraccio.
- Come diavolo… - balbettò l’olandese, mentre poco più in là anche Pam riprendeva i sensi e come prima cosa controllava le condizioni della sua morbida tuta di ciniglia, soffocando un’imprecazione quando si accorse di uno strappo in una manica.
- È stata lei. È riuscita a trovare la forza per usare i suoi poteri e ci ha salvato tutti - disse Eric, guardandola con qualcosa che poteva assomigliare a un timore reverenziale. Erano seduti nell’erba davanti alla cappella, bagnati fradici, feriti e con i vestiti a brandelli, ma vivi. Indubbiamente vivi, per quanto si potesse dirlo di un vampiro.
Visto che Sookie continuava a guardare Raistan, lui si sentì in obbligo di rivolgerle almeno la parola. Le prime che gli vennero in mente, tuttavia, gli avrebbero fruttato l’impalamento istantaneo da parte di Eric, quindi deglutì un paio di volte, le sorrise a denti stretti e le borbottò un neutro “Ehi” per poi distogliere precipitosamente lo sguardo, prima che la sua linguaccia partisse alla carica. Si alzò in piedi di scatto e si guardò intorno.
- Pensate di fare un pic-nic o possiamo alzare le chiappe da questo posto di merda? - disse, guardandosi intorno. Voleva solo tornare in albergo, farsi una doccia e mettersi addosso qualcosa di asciutto, non prima di essersi fasciato come una mummia. Il bruciore dei morsi era intenso come prima, l’unica cosa che gli confermava che l’esperienza appena passata non fosse tutto un sogno bizzarro.
- Sì, andiamocene. Missione compiuta, hai visto, Olandese? E tu eri pessimista… - rispose Eric, senza distogliere lo sguardo da Sookie. Raistan bofonchiò qualcosa fra i denti, mentre Pam alzò gli occhi al cielo e sbuffò, irritata. Una delle sue tute più belle, rovinata per quell’insignificante umana. Il suo creatore non l’avrebbe lasciata per giorni, fino a quando non si fosse rimessa in forze, e a lei sarebbe toccato vedergli stampata sul volto quell’irritante espressione imbambolata. Da vomito, come avrebbe detto Van Hoeck. Si avviarono verso l’uscita del cimitero, in silenzio, accompagnati dal canto dei grilli e delle cicale. Anche loro sembravano lieti di essere vivi.
*
- Voglio andare a casa – disse Sookie all’orecchio di Eric. Aveva la voce impastata e rauca. Quando erano stati sputati fuori dalla cappella, Sookie era rotolata via dalle sue braccia finendo carponi sull’erba e aveva tossito per almeno una decina di minuti di fila, sputacchiando acqua mista a sangue e prendendo respiri affannosi. L’aria nella sua trachea faceva quasi rumore, per quanto violentemente vi era incanalata ed Eric era rimasto immobile a guardarla, senza avere idea di come avrebbe potuto aiutarla. Si era reso conto che non c’era nulla che potesse fare per lei; di sicuro, non poteva tentare una respirazione bocca a bocca, lui che non respirava nemmeno. Aveva dovuto starsene seduto e aspettare il verdetto del fato che avrebbe deciso se Sookie Stackhouse sarebbe vissuta o morta.
Era vissuta. Ce l’aveva fatta.
- Ti ci sto portando.
Teneva Sookie appoggiata contro il petto e lei, incredibilmente, se ne stava buona, senza protestare, cercando soltanto di tener chiuso in tutti modi il soprabito di pelle nera di Raistan per coprire la sua nudità.
- Eric – chiamò l’Olandese da dietro – Posso considerare il mio incarico concluso?
Lui si voltò.
- Sì.
- Allora me ne vado. Aspetterò il versamento sul mio conto. Non farti attendere troppo, odio chi paga in ritardo.
- Te ne torni già in Europa?
- Di corsa. Ne ho abbastanza di questo posto. Mi manca la cara, vecchia Parigi.
Scrollò le spalle e abbozzò un sorriso, mettendosi le mani in tasca.
- E poi ho sempre detestato gli acquitrini.
- Allora alla prossima, Van Hoeck.
- Io non ci giurerei. Addio.
Mentre girava sui tacchi, aggiunse: - E buonanotte a te, fatina. Dovresti proprio dargliela, a questo povero disperato.
Eric serrò la mascella e snudò le zanne, ma Raistan era già sparito nel buio, lasciandosi dietro solo un motivetto fischiettato.
- Hai assoldato quel vampiro per ritrovarmi? – domandò Sookie.
- Era necessario – rispose Eric scrutando in lontananza tra gli alberi. Dannato Olandese.
*
Raistan aveva già percorso un paio di chilometri di corsa in direzione di Shreveport, dove si trovava il suo albergo, quando all’improvviso si ricordò di una cosa e invertì la rotta. Pochi minuti dopo era di nuovo nel cimitero di Bon Temps, nel punto esatto in cui erano rispuntati, alla ricerca delle due spade di ferro.
Non sapeva bene cosa stesse facendo. Un senso di vuoto lo aveva assalito all’improvviso. Sentiva che doveva assolutamente procurarsi un cimelio che gli testimoniasse per sempre che quell’esperienza, lui, l’aveva vissuta davvero e non sognata. Le cicatrici sarebbero presto sparite, e se invece fossero rimaste si sarebbero perse nel reticolo delle decine e decine di ricordi di battaglia che percorrevano il suo corpo. Le spade sarebbero rimaste, invece. Inoltre, due autentiche spade di ferro provenienti dalla leggendaria dimensione delle fate dovevano valere un patrimonio. Avrebbe potuto rivenderle, o regalarne una a Shibeen e tenersi l’altra per sé… casomai quei mostri avessero deciso di tornare a trovarlo.
Fece per rimboccarsi le maniche, ma solo allora si accorse di essere nudo dalla cintola in su. Il cappotto di pelle era rimasto addosso all’umana, la maglietta di Snoopy… chissà che fine aveva fatto. Richard ne sarebbe stato dispiaciuto. Soffocò un’imprecazione e si mise a cercare.
*
Eric era arrivato sul portico di Sookie. Saliti i pochi scalini di legno, rimase immobile davanti alla porta. Lei lo fissò interdetta.
- Che c’è? – chiese.
- Devi invitarmi – spiegò lui – Ti sei dimenticata di avermi ritirato l’invito?
Sookie esitò per un attimo, poi pronunciò le fatidiche parole:
- Sei invitato ad entrare, signor Northman.
Eric si lasciò andare a una risatina soffocata mentre sospingeva la porta d’ingresso, reggendo Sookie con il solo braccio destro.
- Non è indispensabile essere così formali, te l’hanno mai detto? Basta un semplice “Entra”.
- Dov’è Bill? – chiese lei per tutta risposta.
- Incatenato nel mio scantinato – rispose Eric con semplicità – Sto valutando se merita di morire oppure no.
Sookie si limitò a fissarlo con due occhi che sembravano essere diventati enormi.
- Ha tentato di uccidermi – spiegò Eric, sentendosi stranamente a disagio. – E… Ti ha fatto del male.
Sookie aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, schiudendo la bocca come per dire qualcosa, ma non lo fece, perché i suoi occhi si scontrarono con la sua immagine riflessa nello specchio della pettiniera nel corridoio che conduceva alle scale.
Vide la sua faccia, i suoi zigomi gonfi, il naso e il labbro spaccati, il grosso livido violaceo che si estendeva tutt’intorno all’occhio destro e soprattutto vide la porzione di carne che mancava dalla sua guancia. E allora esplose in un urlo che fece quasi trasalire Eric.
*
Dove cazzo sono?
Raistan rovistava freneticamente fra i cespugli e le foglie morte, in mezzo al fango formato dall’acqua che si erano portati dietro quando erano usciti. L’unico risultato che aveva ottenuto da dieci minuti a quella parte era stato insozzarsi le mani. Finalmente le sue dita si scontrarono con qualcosa di duro, liscio e freddo.
Impugnò l’elsa della spada e la sollevò, con un piccolo ringhio di trionfo. Proprio in quel momento udì un fruscio alle sue spalle; si voltò di scatto e lanciò la spada con violenza contro la creatura che se ne stava appostata a tendergli la trappola. Un urlo femminile, furioso, riecheggiò nell’aria.
- Che… accidenti ci fai tu qui, ancora? – chiese Raistan interdetto, non appena riconobbe la sagoma alta e flessuosa della figlia di Eric.
Pam arricciò il labbro superiore in un moto di irritazione, mentre si sfilava la lama di ferro che le era penetrata per almeno cinque dita proprio sul rigonfiamento del seno destro. Se fosse stata un piolo di legno e l’avesse raggiunta qualche centimetro più a sinistra, avrebbe rischiato seriamente di farla esplodere come un palloncino pieno di frattaglie rosse.
- Maledetto! Guarda cosa mi hai fatto alla tuta – ringhiò, gettando per terra l’arma insanguinata. Abbassò il mento e si esaminò lo strappo, constatando che si trattava di un danno irreparabile.
Raistan osservava incuriosito e suo malgrado divertito.
- Che disastro, credo proprio che la tua bella tuta sia da buttare.
- Certo che lo è! – sbottò lei.
- Dolcezza, non è mica colpa mia. Anche se non ti avessi ferita, guardati: c’è più sangue e fango addosso a te che polvere nel mio appartamento.
Lo sguardo di Pam si fissò nel suo per un breve attimo, poi lei lo distolse, sedendosi su una pietra tombale con aria stizzita.
- Se è così, spero di non metterci mai piede – borbottò, guardando in basso.
- Allora, inglesina? Non hai risposto alla mia domanda: cosa ci fai qui? Credevo fossi andata con il tuo creatore.
- Non chiamarmi inglesina, Olandese. Mi sono tolta di torno, come faccio sempre quando Eric ha a che fare con Sookie – ribatté lei con una vena di amarezza nella voce. – E tu, invece. Cosa stavi facendo qui, con questa spada?
Raistan si accovacciò al suo fianco.
- Non dovresti essere così gelosa. Un’umana non intaccherà mai il rapporto con il tuo creatore – disse, inclinando la testa da un lato.
- E tu che ne sai?
- Fidati, lo so. Ho amato donne umane anch’io, ma niente mi separerà mai da Shibeen.
Pam rimase per qualche istante interdetta, massaggiandosi la ferita sul seno che nel frattempo prudeva nel rimarginarsi, non del tutto sicura che il killer Atropo avesse davvero detto “amato”. Raistan la osservò e decise che era splendida, con quell’aria fiera e quelle labbra carnose e imbronciate. L’adrenalina del combattimento non si era ancora spenta del tutto, anzi. Il sangue di fata bevuto in abbondanza gli aveva donato una sensazione di vertigine insolita ed eccitante, che andava e veniva, a ondate. Vederla così, seduta sul quella pietra con le gambe accavallate e una mano infilata nella zip della maglia, premuta sul seno, fece scattare la molla. L’indomani sera sarebbe partito e forse non l’avrebbe più vista né sentita. Shibeen non l’avrebbe mai saputo. Desiderava provare qualcosa di bello sulla sua pelle ferita, qualcosa che spazzasse via il dolore e gli rimettesse a posto la testa.
la voglio, qui, ora
Il pensiero fece appena in tempo ad attraversargli la mente, che si era già sporto in avanti, aveva afferrato la nuca di Pam e l’aveva tratta con decisione contro la sua faccia, premendo con foga le labbra su quelle di lei. Lei non rispose al bacio. La sua bocca rimase fredda e rigida come pietra. Raistan insinuò la mano nell’apertura della giacca di lei e tastò il suo seno, sentendo, sotto le dita, l’umidità della ferita ancora aperta, che si stava rimarginando con lentezza a causa dei morsi di fata che Pam, come del resto lui, aveva collezionato durante il combattimento.
Pam si staccò da lui ringhiando e in un attimo lo atterrò, saltandogli sopra con un guizzo da tigre. Raistan finì schiena a terra, in mezzo all’erba e alla fanghiglia, con le mani di lei strette intorno alla sua gola. La luce della luna formava una specie di aureola argentata intorno ai capelli spettinati di Pam; non ne poteva vedere con chiarezza l’espressione del viso, che era in ombra, ma la sentiva ringhiare e ansimare leggermente – una reazione inutile ai fini della respirazione, inesistente per un vampiro, ma dettata da retaggi umani difficili da estirpare che si riaccendevano nei momenti critici, almeno così gli avevano spiegato.
- Non toccarmi – sibilò lei, abbassando il viso fino a soffiargli nell’orecchio - Non toccarmi con quelle zampe sporche.
Raistan avrebbe potuto scrollarsela di dosso con un colpo di reni, rialzarsi in piedi e stamparla contro il tronco di un salice piangente, e magari anche impiccarcela, il tutto nel giro di un paio di secondi… ma la sensazione del corpo di lei premuto sul suo era fantastica. Sentì un deciso entusiasmo gonfiarglisi nei pantaloni e poteva scommettere che anche lei lo sentisse, sistemata com’era cavalcioni sulle sue parti basse.
Infilò entrambe le mani sotto la giacca della tuta di Pam, fece scorrere le dita sulla sua colonna vertebrale e arrivò fino al gancio del reggiseno, slacciandolo.
- Non toccarmi! – ripeté lei, in un ringhio isterico, e aumentò la stretta sul collo di Raistan. Ma lui sentì il suo bacino premere e muoversi sul suo. Si rigirò con uno scatto e invertì le posizioni, bloccando Pam a terra sotto il peso del suo corpo, in mezzo alle sue gambe ; le abbassò la zip della maglia scoprendole il seno e le premette una mano sul capezzolo.
Lei inarcò la schiena sotto di lui e lanciò un gemito molto poco addolorato.
- Toccami – disse in un sussurro rauco. – Toccami!
Complimenti per la coerenza, pensò Raistan distrattamente, mentre le stringeva il seno sinistro.
- Ti sto toccando, Pamela.
- Di più – fece lei, e gli conficcò le unghie appuntite nella schiena, aggrappandosi ai suoi capelli.
Raistan ringhiò sommessamente, ma il ringhio si tradusse in una risatina divertita. Fece scivolare una mano tra di loro, portandola verso il basso.
- Che ne dici di dare il benservito a questa tuta, Pammie?
Così dicendo, afferrò il bordo dei pantaloni di lei e lo strappò di netto.
*
Eric serrò la stretta intorno a Sookie, distogliendola dallo specchio. Lei urlava, piangeva e si dibatteva, balbettando frasi sconnesse tra un singhiozzo e l’altro.
Lui deglutì e si maledisse amaramente per essersi cacciato in una situazione simile. Non era fatto per calmare le urla, lui, ma per provocarle.
Forse dovrei portarla in ospedale e scaricarla lì. Forse non ha bisogno del mio sangue, ma di un bravo psichiatra. Dannazione.
Imboccò la rampa di gradini di legno che presumibilmente conduceva al piano superiore, schiacciando la testa di Sookie contro la sua spalla. Lei non smise di singhiozzare e gli addentò debolmente la clavicola, gemendo.
No. Come spiegherei ai medici questi morsi? Incolperebbero me. Potrei glamourizzarli. Certo. Che io sia maledetto, non ho pagato centomila dollari a Van Hoeck per poi abbandonarla in un pronto soccorso.
Mentre saliva le scale, tentò di chiedere a Sookie dove fosse la sua stanza, ma non ottenne altro che un pianto ancora più disperato e terrorizzato. Aver visto sulla propria pelle i segni delle torture, doveva averla fatta ricadere in un profondo stato di shock. Quanto tempo era stata prigioniera presso le fate? Eric fece un rapido calcolo mentale e si sentì raggelare. Era passato quasi un mese da quando era scomparsa. Un mese in mezzo a quelle creature mangiacarne. Era un miracolo che fosse ancora viva e che non fosse ancora ridotta in stato catatonico. Provò un rispetto del tutto nuovo per lei. Era sopravvissuta, da sola, senza avere alcuna idea che lui, per tutto il tempo, aveva lavorato per ritrovarla.
Improvvisamente gli balenarono in mente le parole di Claudine
è stato il vampiro Bill ad attirarle
e in un lampo tutto gli fu chiaro. La nuova, furente consapevolezza gli fece per un attimo considerare l’idea di depositare Sookie sulle scale, precipitarsi di volata a Shreveport, correre nello scantinato e impalettare quel bastardo, anzi, prima sodomizzarlo con un piolo d’argento, poi fargli sperimentare le torture patite da Sookie una per una e poi impalettarlo.
Bill ha attirato le fate dell’acqua. Ha raccontato loro di lui e di Sookie, e magari anche di come facevano sesso e di come lei lo lasciava bere da lui. Poi avrebbe aspettato che io andassi ad aiutarla – perché lo sapeva che lo avrei fatto, lo sapeva, il figlio di puttana – e si sarebbe goduto la mia morte. E poi sarebbe intervenuto, l’avrebbe salvata e l’avrebbe riavuta di nuovo, dimostrando eroismo e amore sconfinato. Lei lo avrebbe eletto a suo unico eroe. Di nuovo. Bel piano, Billy. Davvero lodevole. Mi inchino alla tua maestria.
Il fatto che un tale sospetto non lo avesse mai sfiorato lo sconvolse, strappandogli un gorgoglio furente. Aveva drammaticamente sottovalutato Bill, la sua furbizia, la sua tenacia nel difendere ciò che credeva gli appartenesse e la sua ossessione.
Avrai quello che meriti, Bill Compton. Ma non adesso.
Adesso bisognava pensare a lei, solo a lei.
DIECI
Le grida di Sookie si erano affievolite, ma lei batteva i denti e teneva gli occhi sbarrati, come caduta nello stato catatonico che Eric aveva paventato poco prima. Lasciandosi guidare solo dall’olfatto e dalla logica, Eric individuò quella che doveva essere la porta della sua camera da letto, dato che portava impresso il suo odore più di ogni altro punto della casa; la spalancò e depositò Sookie, ancora avvolta nel pastrano di Raistan, sul grande letto bianco al centro della stanza. Brividi violenti continuavano a scuoterla.
Eric le tastò le gambe e i piedi che spuntavano dalla lunga giacca di pelle nera; non ne sentiva il calore, e se non lo percepiva, voleva dire che erano ghiacciati.
Ipotermia.
Il guaio era che c’era ben poco che potesse fare per lei. Di certo, non poteva riscaldarla con il calore del suo corpo, vero? Poi ebbe un’idea. Sbottonò il cappotto e la riprese in braccio, cercando di non badare al fatto che ora fosse di nuovo completamente nuda. Se si fosse fermato a rifletterci sopra, avrebbe di sicuro fatto qualcosa di sbagliato e non era il momento di fare cose sbagliate. La trasportò di peso verso un’altra porta che si apriva in una delle pareti della camera da letto: la sua intuizione era giusta, quello era il bagno.
Acqua calda. Dicono funzioni.
Ci sperò davvero, mentre, reggendo Sookie con un braccio, apriva la cabina della doccia e ruotava fino in fondo la manopola rossa. Un getto di acqua inizialmente fredda, poi sempre più calda, scrosciò dall’erogatore. Sookie, sentendone il rumore, ricominciò a piangere sommessamente. Eric tese una mano per controllare la temperatura.
Deve essere calda, ma non bollente. Diavolo, non voglio mica ustionarla! Perché siamo così poco sensibili ai cambiamenti di temperatura?
Maledisse tra i denti la sua incapacità di giudicare il calore dell’acqua. Poi decise che era il momento di tentare e provò a staccarsi dal collo le braccia di Sookie.
Lei si ribellò, iniziando a scalciare e aggrappandosi ai suoi capelli con le dita.
-No! Acqua! No! No!! – strillò.
- Sta’tranquilla, voglio solo… ehi… maledizione… Sookie, va tutto bene!
Inutile: lei sembrava colta da un attacco di panico improvviso.
- Non nell’acqua! No! Non di nuovo! Non lasciarmi! Non buttarmi nell’acqua!
Eric sospirò. A quel punto, c’era solo una cosa da fare. In fondo, i suoi vestiti erano già bagnati. Reggendo Sookie, si liberò delle scarpe ed entrò nella cabina sotto il getto dell’acqua calda.
*
Pam lanciò un urlo inebriato. Erano passati… forse anni dal suo ultimo contatto intimo con un esponente del sesso maschile, perciò quando Raistan la penetrò sentì dolore per un attimo. Questo, naturalmente, non fece altro che portare alle stelle la sua eccitazione.
Ti prego, non dirmi che ti stai facendo scopare in mezzo al fango da questo borioso Olandese! esclamò la vocina nella sua testa.
Sta’ zitta una buona volta, le rispose lei e strinse ancora di più le gambe attorno ai fianchi di Raistan, affondandogli le unghie nelle spalle e sollevando il bacino per sentirlo entrare ancora più a fondo.
- E io che credevo fossi lesbica – disse Raistan assestandole una spinta.
- Lo sono, idiota! – ribatté lei.
Raistan la afferrò per i capelli girandole la testa di lato e le morse la gola, prendendo una sana boccata del suo sangue.
- Non chiamarmi idiota – soffiò nel suo orecchio.
La sentì fremere sotto di lui e con sorpresa si accorse che stava ridacchiando. Un attimo dopo lei lo aveva spinto via con forza inaudita e lui si era ritrovato gambe all’aria, con i pantaloni abbassati, in mezzo alle lapidi.
Pam continuò a ridacchiare, mentre scattava in piedi. Era una visione da urlo, completamente nuda com’era. Una valchiria bionda, dal seno abbondante e dalla pelle bianchissima che sembrava perlacea al chiarore della luna. Raistan si leccò i canini, ricomponendosi e liberandosi una volta per tutte dei jeans.
- Prendimi, se ci riesci – rise Pam e si lanciò nella vegetazione fitta.
- Maledetta – borbottò lui, poi fece lo stesso.
Qualche minuto dopo lei aveva di nuovo le gambe avvinghiate al suo bacino, e le spalle contro il tronco di un albero.
- Scommetto che Northman mi farà diventare spezzatino, quando scoprirà che mi sono scopato la sua progenie – le sussurrò lui nell’orecchio.
- Non.. preoccuparti di Eric… si starà facendo Sookie, a quest’ora…
*
Eric stava riflettendo amaramente sul fatto che, se prima di tutta quella brutta avventura aveva avuto una minima possibilità di farsi Sookie, ora era svanita. E di questo doveva ringraziare le amiche fatine. La ragazza era talmente traumatizzata che non si sarebbe mai più lasciata toccare da un maschio, umano o vampiro che fosse. Non poteva biasimarla più di tanto, ma la cosa gli rodeva, eccome se gli rodeva. Di nuovo, per qualche attimo si gingillò a infliggere tremende torture mentali a Bill Compton, colui che aveva colto un fiore così prezioso e, alla fin fine, era riuscito a fare in modo che nessun altro glielo toccasse. Serrò la mascella e si impose di smetterla con quei pensieri gretti; il tempo di maltrattare Compton sarebbe giunto e forse, con molta pazienza, anche Sookie si sarebbe lasciata andare, un giorno.
Lei si era finalmente calmata. Ora non piangeva più, ma saltuari singhiozzi continuavano a farla sobbalzare. Anche il tremito del suo corpo si era attenuato. Eric si era accovacciato sul piatto della doccia, stringendola tra le gambe e le braccia, premuta con la schiena contro il suo petto. Sembrava un metodo efficace per farla sentire meglio. Le appoggiò il mento contro la spalla e le accarezzò i capelli zuppi, godendosi lo scroscio dell’acqua calda che pioveva addosso a entrambi e il battito, finalmente calmo e regolare, del suo cuore. In fondo, non era così male. Non aveva bisogno del sesso. Certo, se Pam avesse scelto un altro momento per farsi Van Hoeck, sarebbe stato meglio. Eric percepiva ogni sensazione di entrambi, attraverso il blood bond. Riusciva persino a sentire le scosse dell’orgasmo, il che non gli rendeva esattamente facile controllarsi, soprattutto considerando il fatto che Sookie era nuda tra le sue braccia.
- Come va? – le bisbigliò nell’orecchio.
Sookie annuì debolmente.
- Non sarò più la stessa di prima, mai più – mormorò.
- Lo sarai, invece. Hai resistito. Sei forte e coraggiosa. Proprio come pensavo.
Lei scosse la testa e si sfiorò con la punta delle dita la carne maciullata che aveva al posto della guancia, una volta rotonda e liscia.
- Le ferite guariscono. Ti farò guarire io, Sookie… Tornerai bella come prima.
- Eric…
A questo seguì una serie di parole pronunciate a voce talmente bassa, e in modo così precipitoso, che lui non riuscì a coglierne il significato neppure con il suo super udito.
- Cosa?
- Mi… daresti il tuo sangue?
Beh, quella sì che era una svolta. Sookie che gli chiedeva di nutrirla. Ne erano cambiate di cose, in una manciata di ore… I canini gli si estesero automaticamente, pizzicandogli il bordo interno del labbro. Non se lo fece ripetere due volte; non voleva che cambiasse idea. Sollevò il braccio sinistro e si morse il polso a fondo, poi lo porse a Sookie. Lei lo strinse tra le sue mani ed ebbe soltanto qualche istante di esitazione, per poi poggiare la bocca sui due fori e trarre un lungo sorso. Eric chiuse gli occhi. La sensazione era sconvolgente. Questa volta non si trattava di Sookie che cercava di estrarre un proiettile… Questa volta era Sookie che beveva da lui davvero, consapevole e consenziente al cento per cento, che entrava di sua spontanea volontà nella sua essenza più profonda e preziosa e ne diventava parte. Si sentì, a sua volta, diventare parte di lei, scivolare nel suo corpo goccia dopo goccia. Strinse Sookie ancora più forte tra le gambe e le braccia, mentre lei succhiava energicamente, quasi in uno stato di trance, e le sue ferite iniziavano come a sfrigolare e la pelle a riformarsi. Anche l’orribile squarcio sulla guancia si stava riducendo sempre di più, lasciando il posto a una chiazza rotonda e rosa, di pelle neonata. Presto anche quel diverso colore sarebbe scomparso.
Sookie non accennava a smettere di succhiare. A quel punto Eric dovette far forza per staccarle il polso dalla bocca. Le voltò il viso verso il suo… le sue labbra, ora finalmente risanate, erano rosse del suo sangue…
Non poteva resistere oltre. Le afferrò i capelli e la tirò verso la sua bocca, baciandola. Lei non si ritrasse, né provò a respingerlo; si abbandonò completamente.
Il tempo sembrò dilatarsi all’infinito, mentre Eric assaporava il suo stesso sangue nella bocca di Sookie e sentiva il gusto dolce e sconosciuto di lei.
*
Sookie sbatté le palpebre e si stiracchiò nel letto. Si sentiva ancora un po’ dolorante, ma nulla in confronto al bruciore infernale patito fino alla notte precedente. La sensazione delle lenzuola morbide sulla sua pelle era meravigliosa. Non avrebbe mai creduto di poter apprezzare così tanto una bella dormita. Sbadigliò e aprì del tutto gli occhi, sorridendo al raggio di sole che filtrava dalle persiane.
- Buongiorno, tesoro! È arrivato il momento di fare colazione, scommetto che non mangi da secoli! – esclamò una voce maschile molto familiare e parecchio divertita.
Sookie fece un salto tale che si ritrovò seduta sul letto. Fu allora che si rese conto di una serie di cose: primo, era completamente nuda. Si tirò su la coperta fino a rannicchiarsi dietro di essa. Secondo, c’era un vassoio poggiato sul comodino con un cappuccino e una quantità di cornetti in grado di sfamare tre famiglie medie americane. Terzo, Eric era seduto sul suo letto e, a quanto sembrava, non indossava null’altro che i suoi pantaloni del pigiama, che naturalmente non gli arrivavano più giù delle ginocchia.
Quarto, era giorno. E pure assolato, per giunta.
- Ch… ch… ch… che ci fai qui?
Eric si esibì in un sorriso smagliante, dotato di luce propria.
- Mi prendo cura di te, come promesso – rispose.
- Abbiamo… fatto… ?
- No, purtroppo. Sono un gentleman, io, non cerco di sedurre persone addormentate.
- E p-perché allora sono… sei…
- Nudo? Beh, di certo non potevo rimettermi i vestiti che portavo ieri… Erano sporchi e bagnati, ti avrei insozzato tutto il letto, Sookie. Io sono una persona pulita.
Sookie rimase a bocca aperta, senza sapere cosa dire o fare.
Eric sorrise.
- Lo sai che parli nel sonno? Dici cose molto interessanti, mentre dormi.
- Ma… Ma… ma Eric!! C’è il sole! Brucerai!
Sookie sembrava davvero sconvolta. Continuava a spostare lo sguardo da lui alla finestra socchiusa, e di nuovo a lui.
Eric si voltò verso la finestra e guardò il raggio di sole che danzava attraverso le fessure. Si alzò e andò a spalancarla. La stanza si accese di una luce cristallina e Sookie trasalì. Eric allargò le braccia e ruotò i palmi delle mani.
- Vedi? Non sto bruciando – spiegò – Non mi sanguina neppure il naso. Dev’essere tutto il sangue di fata che ho ingerito… fata vera.
Sookie spalancò gli occhi, incredula.
- Quanto durerà l’effetto?
Lui scosse la testa, ma il sorriso non si spense sul suo volto.
- Non ne ho idea. Forse per qualche ora, forse per anni. Chi lo sa. Ma sta’ sicura che non intendo sprecare questa occasione standomene chiuso in una stanza, tesoro.
EPILOGO
- Voi due, fuori dall’acqua!
- Ancora cinque minuti!
- Ma che cinque minuti, sono tre ore, siete rossi come gamberi, siete impazziti? Almeno venite a rimettervi la crema!
- Uff… sì, mammina…
Eric e Raistan lasciarono mogi mogi le onde e risalirono a capo chino la battigia, raggiungendo Pam e Sookie presso i teli distesi sulla sabbia.
- Cercate di controllarvi, insomma! Il sangue delle fate vi sta proteggendo, è vero, ma la vostra pelle non è più abituata ai raggi del sole! Guarda. Guarda che disastro. Voglio vedere come farai a sdraiarti, stasera, Eric Northman. E lo stesso vale per te, Olandese.
- Pam, non mi godevo una giornata in spiaggia da più di mille anni, mi sento bene. Me ne frego, di stasera. E tu, Raistan?
- Idem. Dov’è il mio aquilone?
- Non è il tuo aquilone. Hai glamourizzato quel povero bambino per convincerlo a regalartelo, e io gliel’ho restituito. Vergogna! – disse Sookie, guardando Raistan indignata.
- Non è vero! Me l’ha dato di sua spontanea volontà! Sei una bella rompiscatole, avrei dovuto lasciarti con le tue cuginette, Sookie Stackhouse. – rispose lui, ma le sorrise e lei gli restituì il ghigno, accompagnandolo con una linguaccia.
- Come mai non c’è più nessun umano in giro? – chiese Eric, guardandosi intorno mentre la ragazza gli cospargeva di crema solare le spalle e la schiena.
- E te lo domandi? Dopo lo scherzo dello squalo di questo psicopatico? – rispose Pam, indicando Raistan ancora una volta – Non hai visto la fuga di massa?
Raistan stava ridacchiando sotto i baffi. In effetti era stato un vero spasso, attaccarsi quella finta pinna alla schiena e nuotare sott’acqua fino a quando non era rimasto un singolo bagnante umano. Era riemerso a una certa distanza dalla riva solo per godersi il fuggi fuggi generale, ma non gli era sfuggito lo sguardo indignato di Sookie e l’alzata di sopracciglia di Pam. Anche lei aveva sorriso, però. Era la loro giornata, presto la loro natura avrebbe ripreso il sopravvento e li avrebbe di nuovo confinati nelle ore oscure della notte. Ogni attimo di luce guadagnato poteva essere l’ultimo. Nessun umano vociante doveva rovinare quel momento e l’Olandese si era sentito in diritto di volgere la situazione a loro completo vantaggio. Grazie a lui avevano la spiaggia tutta per loro, pensava di meritarsi almeno un po’ di riconoscenza.
– Finito, con questa crema? Mi fa sentire tutto appiccicoso, mi dà fastidio - brontolò, rivolto alla ragazza.
– Meglio appiccicoso che arrostito. Dai, andate…bambini.
– No, a pensarci bene sono stanco. Mi riposerò un po’.
L’effetto del veleno trasmesso dai morsi delle fate si stava attenuando, dopo una settimana, ma i tre vampiri non erano ancora al massimo delle loro forze, specialmente Raistan. Sul suo corpo erano ancora ben visibili i segni del loro allegro banchettare.
Si coricò sul suo telo e si coprì gli occhi con l’avambraccio; Eric, invece, si guardò attorno, poi si sedette accanto a Sookie, scrutandola con aria preoccupata, cosa che gli fruttò un’occhiata di fuoco da parte di Pam, splendida nel suo costume leopardato.
- Sto bene – gli disse la ragazza, indovinando i suoi pensieri e rivolgendogli un lieve sorriso, poi si chinò su Van Hoeck e gli sfiorò la guancia con un bacio. Lui staccò il braccio dalla fronte e aprì gli occhi, guardandola con aria interrogativa.
– E questo? – chiese, sollevandosi su un gomito.
– Non ti avevo ancora ringraziato per aver distolto la loro attenzione da me, quel giorno… e per tutto il resto.
– Non l’ho fatto per te. Mi stavi assordando con i tuoi strilli, tutto lì – rispose, fissando un punto indefinito davanti a sé.
– Voglio ringraziarti lo stesso. E anche te, Pam.
La vampira roteò gli occhi, ma sorrise e annuì.
- E io? Non mi merito nessun ringraziamento? – chiese Eric, fingendo un’indignazione che non provava. In realtà, Sookie gli aveva già espresso la sua gratitudine, in modo molto tangibile.
– Mi sembrava di averlo fatto, Mr. Northman…
– Davvero? Forse faresti bene a rinfrescarmi la memoria. Sai, la vecchiaia…
Sookie rise e avvolse con le braccia le spalle del vichingo, stampandogli un enorme bacio sulla guancia.
- Così va bene?
- Iniziamo a ragionare.
- Mi chiedevo… Hai fatto come ti ho chiesto, vero? Hai liberato Bill?
- Sì. Fosse per me l’avrei ucciso, lo sai, ma… non voglio farti arrabbiare.
- Avrebbe almeno potuto passare a vedere come stavo…
- Credo abbia preferito cambiare aria. Era un po’ provato, sai… mi è parso di capire che abbia scelto una bella meta… esotica.
- Oh.
Raistan si era rialzato. – Scaviamo un bel tunnel?
I tre amici lo guardarono sbalorditi.
- Come quello di prima? Quello con cui hai fatto collassare il castello che avevo costruito, esatta riproduzione del palazzo di mio padre? – ringhiò Eric.
– Ehm… d’accordo, ho capito. Allora vado a fare un ultimo bagno, prima di rientrare. Mi accompagni, inglesina?
– Perché no? Odio, la sensazione della sabbia incollata addosso. E voi fate i bravi.
La vampira si alzò e prese la mano di Raistan nella sua. Si avviarono insieme verso la riva del mare e Sookie sorrise, provando per i suoi amici notturni un misto di affetto e…compassione. Non doveva essere piacevole, sapere di avere solo poche giornate di luce, nel mare di tenebre che costituiva la loro vita, anche se nessuno ne parlava.
- Vorrebbe spalmare un po’ di crema anche a me, Mr. Northman?
- Con supremo piacere, signorina Stackhouse.
*
CIMITERO DI BONTEMPS
Il vampiro di nome Bill Compton aveva perso ormai da ore la speranza di liberarsi dalle catene che lo avvolgevano come un salame. Inoltre, l’odore delle gelatine di frutta di cui era ricoperto gli dava la nausea.
Sentì un vago fruscio, proveniente dai cespugli alla sua destra, e si voltò di scatto.
- Ehi! C’è nessuno? Qualcuno mi aiuti, per favore! Dalla vegetazione sbucò una figura eterea, avvolta in uno splendido alone di luce. Aveva lunghi capelli biondi sormontati da una coroncina di fiori, strani occhi obliqui e piccole orecchie a punta.
Che cosa ti è successo, piccolo mio? Ti sei perso? – disse la creatura, con voce dolce e sensuale. Poi sorrise, e Bill-is-a-bitch Compton urlò, perché i suoi denti erano lunghi e affilati come minuscoli coltelli.